Riportiamo uno stralcio dell'intervista del nostro compositore in residence tratta da sistemamusica.it
Alberto Bosco, che cosa caratterizza questo ripensamento di Solveig?
«È un pezzo breve, semplice. È una sorta di bonus track del concerto, una ciliegina sulla torta. L’ho scritto ripensando al pezzo di Grieg, quasi improvvisando. È una specie di ricordo, nel corso del quale i temi di Grieg vengono trasformati dalla memoria».
Quindi non si tratta d’un pezzo cerebrale…
«La melodia di Grieg è riconoscibilissima, ma non è mai come nell’originale. È come una specie di parafrasi. Non è certo uno sfoggio di tecnica compositiva. L’ho scritto pensando al pubblico, all’Orchestra Filarmonica di Torino. Credo molto nella musica con una gerarchia ben chiara, modale o tonale. Nel caso di questo pezzo, occorreva stare al gioco, tenendo conto del linguaggio tonale di partenza, creando l’originalità partendo da quello, non da chissà quali esperimenti».
«La libertà è grande: ci sono molti modi di fare musica e molti modi di scrivere musica. La possibilità dello sperimentalismo è sempre necessaria: se un artista dice qualcosa di suo è sempre originale ed è sempre sperimentale, in un certo senso. Tutto sta nello scegliere il linguaggio appropriato e nel saperlo dominare. C’è poi sempre un contesto, un committente, una storia, un bagaglio di simboli, di memorie e di codici cui fare riferimento. Non credo ci siano strade obbligate da seguire; mi piace molto scrivere pensando agli interpreti: se suonano con piacere, lo trasmettono anche al pubblico».
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