mercoledì 30 aprile 2008

Brahms, il serial killer di gatti

Johannes Brahms, sublime musicista ed orrendo torturatore di gatti. Questa doppia realtà è convissuta per oltre un secolo e solo ora uno studioso ha liberato il compositore amburghese dal marchio puntando il dito accusatore contro un altro eccelso, Richard Wagner, che sarebbe all'origine della antica leggenda metropolitana.
Brahms veniva accusato di tormentare gli animali e di raccogliere i loro lamenti in fine di vita per tradurli in note.
L'orrendo sospetto aveva trovato una incredibile sostegno decennio dopo decennio, fino ad arrivare ai nostri tempi, all'interno di un filone animalista propenso a credere che alla crudeltà umana non c'è limite.
Ora, dopo due anni di studi e di ricerche, il musicologo Calum MacDonald, un'autorità sul compositore, ha potuto mettere fine a queste dicerie che volevano Brahms un impenitente serial- killer di felini. Dalla ricerca è emerso anche che la fonte più probabile di queste accuse offensive era il rivale Richard Wagner che sembra esercitasse con successo le sue malevolenze ogniqualvolta parlava di Brahms.
Debolezze umane che la storia scritta dagli studiosi di musica aveva totalmente cancellato dato che nessuna della ventina di biografie del compositore viennese faceva riferimento a crudeltà del genere.
Debolezze invece ben registrate dalla storia vista dalla parte degli animali tanto che anche in un recente volume dal titolo'I gatti del mondo' l'autore, Desmond Morris, si è sentito in dovere di registrarle:»Il compositore odiava così tanto i gatti che li colpiva con frecce. Prendeva la mira dal suo appartamento di Vienna e, se dobbiamo credere a Wagner, dopo averli infilzati li tirava fin dentro casa, come fa un pescatore con la trota. E poi ascoltava con bramosia i rantolii delle sue vittime e riportava con cura su un taccuino le osservazioni.»
La leggenda metropolitana lanciata con malizia dall'avversario Wagner si è diffusa nonostante le cose che raccontava fossero, per i contemporanei, facilmente verificabili.
MacDonald nella sua accurata ricerca si è imbattuto nelle scorse settimane nel lavoro di James Hunecker, critico musicale del New York Times, che nel 1893, mentre Brahms era ancora in vita, aveva svolto indagini sulle accuse che circolavano e le aveva trovate infondate e aveva anche lui riscontrato che all'origine di tutto vi era il diabolico Wagner (fonte: ANSA).

originale--> http://www.guardian.co.uk/uk/2001/apr/12/highereducation.arts

lunedì 28 aprile 2008

Papageno tra i binari

Dallo scorso sabato 26 aprile fino al 25 maggio nella stazione Bundestag della metropolitana berlinese, su una linea dalla nuova faraonica Stazione Centrale alla Porta di Brandeburgo non ancora aperta, sarà possibile assistere a un'interpretazione peculiare del Flauto Magico di Mozart. La regia è stata firmata da Cristoph Hagel e gli interpreti sono i Berliner Symphoniker.
Come è stata interpretata questa favola affollata di simboli? Il regista, prendendo spunto dalla sede di rappresentazione, ha trasformato, per esempio, il cacciatore di uccelli Papageno in un punk che fruga tra la spazzatura; Pamina, invece di essere rapita, è sorpresa a viaggiare senza biglietto e arrestata da un poliziotto.
I biglietti si compreranno in tabaccheria?
Per un piccolo approfondimento e qualche immagine dell'evento clicca qui!

Liana
Püschel

sabato 26 aprile 2008

Musica per fare l'amore

L’ascolto tabù e... gli amori di Brahms

Estratto della relazione presentata dall’autore alla conferenza internazionale sull’ascolto “disattento”. Il testo completo, insieme ad altri saggi e ad articoli recenti, uscirà entro la fine dell’anno nel volume L’ascolto tabù, edito da Arcana.

Ci sono migliaia di lavoratori intellettuali che ascoltano la radio mentre lavorano. Notizie, commenti e discussioni, e musica: classica, jazz, world music, canzone d’autore, rock e pop. Questa pratica è considerata comune da chiunque. Però, quando mi capita di discutere l’uso della musica da parte dei giovani, e specialmente in ambiti accademici, se l’argomento è la popular music o il paesaggio sonoro (o “l’inquinamento musicale”), le prime cose che sento dire dagli altri partecipanti (che farei fatica a distinguere dalla folla di quei “lavoratori intellettuali che ascoltano la radio”) sono di questo tenore: «Sentono musica mentre studiano o fanno i compiti!», «Siete mai stati in quei negozi che frequentano? Con quel volume assordante?» «Escono, si mettono la cuffia, e vanno in giro, e prendono il tram ascoltando musica». Poveri adolescenti devastati!
Quello che mi affascina di più, però, è il modo in cui l’“attenzione” diventa il nucleo teorico di queste affermazioni. Forse perché è così difficile ottenere attenzione dagli adolescenti, da parte degli adulti. Quindi il problema è l’attenzione, ed è anche un problema musicale.
La musica è arte in quanto vi si presta attenzione, e il luogo canonico di questo comportamento adeguato è la sala da concerto. Adorno incombe. Di conseguenza, qualunque comportamento diverso da quello non merita neppure di essere discusso, se non per consegnarlo alla spazzatura della cattiva musica e dell’inquinamento musicale. È un tabù. In queste occasioni molte volte mi sarebbe piaciuto discutere di un altro tabù, che non è mai stato sospettato (davvero?) da questi “genitori musicologici”: il fatto che così tante persone, dall’adolescenza a un’età più che adulta (includendo i figli di quei genitori e – chissà? – i genitori stessi), ascoltano musica mentre fanno l’amore, durante rapporti sessuali.
Non so se esistano teorie o ricerche specifiche sull’argomento ma sono sicuro che esistono teorie “folk”. Mi ricordo di aver sentito più volte giudizi su album particolarmente adeguati allo scopo (sembra che The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd sia uno dei preferiti), e mi incuriosiscono i rapporti fra le implicazioni musicologiche e sessuologiche della durata di un album: forse il rock psichedelico e il progressive (con i loro pezzi o le suite che duravano un’intera facciata) erano amati proprio per questo? Cosa vuol dire “davvero” long playing? Le cassette (con l’autoreverse) hanno avuto successo per lo stesso motivo? […]
Di nuovo, dal sottofondo dei nostri pensieri, emerge la questione dell’attenzione. Che tipo di attenzione è, in questo caso? Ho sentito di musicisti (o, comunque, persone “musicali”) che potevano “farlo” con certi generi musicali, ma non con altri: ho trovato interessante che fra questi ultimi, insieme a esempi che avrei certamente potuto prevedere (come il Trio per archi di Webern, di adorniana memoria), alcuni includessero “tutta la musica di Bach”, aggiungendo che in quel caso la logica rigorosa dello sviluppo contrappuntistico era così avvincente da impedire di interessarsi ad altro.
Apparentemente, una testimonianza a favore della tesi che la musica esige un ascolto adeguato, quindi una conferma delle teorie di Adorno e un invito a evitare gli ascoltatori strutturali come partner sessuali. O, forse, una prova della validità della tipologia di Besseler, col sottinteso che in certe circostanze l’ascolto passivo (tipico della musica romantica) è più adatto del verknüpfendes Hören. O (chi può dirlo?) il suggerimento che per questo tipo di musica di sottofondo l’ascoltatore occidentale fa riferimento a un’enciclopedia semantica basata sui cliché della musica da film; e viene da domandarsi se una scena d’amore accompagnata dal Trio di Webern o da un canone delle Variazioni Goldberg in un film di grande successo potrebbe improvvisamente causare un cambiamento nelle preferenze del pubblico degli ascoltatori/amanti.
Franco Fabbri



I Sestetti per archi e gli amori di Brahms

[...] parliamo di un vecchio film di Louis Malle intitolato Les amants. La pellicola ha giusto cinquant’anni e racconta la storia d’amore di una ricca borghese, Jeanne Moreau, sconvolta dall’incontro con un giovane incontrato per caso durante un viaggio. Secondo Paolo Mereghetti il film rivisto oggi non è un granché, tuttavia Truffaut sosteneva che Malle avesse osato mostrare «la prima notte d’amore al cinema». Bisognerebbe chiedere a qualche esperto se Truffaut avesse ragione o meno, ma almeno un’altra dote capitale il film ce l’ha senz’altro. L’autore infatti ha indiscutibilmente scelto la musica migliore per esprimere l’ondata di sentimenti vissuti dalla protagonista nel corso della lunga scena d’amore al chiar di luna: il Tema con variazioni (Andante ma moderato) del Sestetto in si bemolle op. 18 di Johannes Brahms.
Sembra curioso che il musicista forse più condannato a reprimere i propri impulsi sentimentali abbia saputo invece, nella sua musica, esprimere il subbuglio interiore del suo cuore in forme imbevute di spirito classico, senza però congelare le emozioni in schemi rigidi e privi di vita. I due Sestetti per archi, che risalgono agli anni Sessanta e precedono i grandi lavori per orchestra, costituiscono forse i primi esempi di quel processo di rinnovamento della musica da camera che Brahms porterà avanti con successo nelle opere della maturità, trasformando il linguaggio di un genere ormai languente in un accademismo vuoto e retorico.
Malle comunque aveva visto giusto, scegliendo il Sestetto in si bemolle, perché la nuova maniera di sentire la musica di questa coppia di lavori dipendeva in qualche misura dal desiderio di esprimere un fondo di turbamenti erotici e sentimentali depositato nel fondo dell’anima del compositore tedesco. Non era tuttavia il primo quello più direttamente coinvolto negli amori del musicista, bensì il secondo, in sol maggiore. Il fervente tema secondario del movimento iniziale, infatti, è costituito da una serie di suoni che nella notazione tedesca formano la parola A-G-A-H-E, un riferimento nemmeno troppo nascosto al nome di Agathe von Siebold, il primo grande amore di Brahms.
Oreste Bossini

liberamente tratto da www.sistemamusica.it

martedì 22 aprile 2008

Concerto Lingotto della Russian National Orchestra: una recensione

All'angolo del gatto Murr approda la recensione della seconda parte del concerto tenutosi martedì scorso al Lingotto (Russian National Orchestra, Mikhail Pletnev direttore, Gidon Kremer violino: Sibelius Pelléas et Mélisande, Suite per orchestra op. 46; Concerto in re minore per violino e orchestra op. 47; Beethoven Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 Pastorale). Siete invitati confrontare le vostre impressioni con quelle del recensore!

E' la Sesta sinfonia di Beethoven quella diretta martedì 15 aprile da Mikhail Pletnev con la Russia National Orchestra all'auditorium del Lingotto. O forse sarebbe meglio dire reinterpretata in maniera piuttosto personale dallo stesso direttore, sia per le indicazioni agogiche inusuali sia per la conseguente struttura ritmico-armonica che ne è scaturita.

Fin da subito infatti ci si è resi conto dell'andamento atipico. L'inizio dell'esposizione del primo tema, volutamente lento per poi accelerare in maniera quasi spropositata per tutta la durata del movimento (nonché dell'intera sinfonia), non rende giustizia alla scrittura musicale. Un allegro ma non troppo si trasforma in un presto; alcune disarmonie tra gli archi provocano delle aritmie, benché il suono agile e pulito degli orchestrali sia privo di sbavature. Una velocità dunque fin troppo eccessiva: viene a mancare la caratteristica principale della dilatazione ritmica e della cantabilità melodica. L'entrata in scena dell'usignolo appare in ritardo, quasi che fosse arrivato lì per caso. Rispetto al precedente turbinare del movimento, la triade canterina dei volatili sfilaccia il discorso musicale.

Nella "Scena al ruscello" il dialogo tra i legni e gli archi dà luogo ad una contrapposizione imprecisa e tra i violini stessi risalta un gioco di domanda e di risposta che sembra aver poco del fraseggio beethoveniano. La tempesta: par di notare echi verdiani in agguato e anche un'immagine drammaturgica fin troppo eloquente e retorica (quei timpani dal suono tanto teatrale!), un crescendo (fin troppo) che sminuisce sempre più l'attesa del momento culminante, che dopo il fragoroso frastuono della tempesta appare privo di quella meraviglia che dovrebbe suscitare all'ascolto, poco incisivo e svuotato dalla precedente enfasi. Ponte tra il quarto e il quinto tempo: quelle note così lunghe provocano un senso di disagio, quasi di fastidio e l'arrivo subito dopo del canto pastorale non consola, non allieta l'animo ma anzi lo irrigidisce, procura ad esso un senso di smarrimento e di superficialità.
Roberto Casella

lunedì 21 aprile 2008

VI corso di iconografia musicale


Sala lauree della Facoltà di Scienze della Formazione
Università degli Studi di Torino
Palazzo Nuovo, 8-9 maggio 2008



SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Istituto per i Beni Musicali in Piemonte
Via Anton Giulio Barrili 7
10134 Torino
Tel. +39 011 3040865 Fax 011 3190277
MODALITÀ D'ISCRIZIONE


Le domande di iscrizione corredate da Curriculum Vitae dovranno pervenire entro e non oltre il 30 aprile presso la sede organizzativa. La frequenza al corso e il rilascio del relativo attestato da parte della Regione Piemonte sono subordinati al pagamento di una quota pari a euro 30,00 su ccp n. 29519105 intestato a “Istituto per i Beni Musicali in Piemonte”. Per gli studenti del DAMS che certificheranno la regolare iscrizione al corso di laurea, la frequenza sarà gratuita.

venerdì 18 aprile 2008

Su You tube, a lezione da Rubinstein

Immaginate di vedere insegnare Gustav Leonhardt, Pablo Casals e Paul Tortelier, Andrés Segovia, James Galway, Herman Baumann, Alex Klein, Elisabeth Schwarzkopf e Luciano Pavarotti: si può, e anche con una certa facilità.
Se volete sbirciare come nasce un’interpretazione direttamente sul campo, su You Tube si scovano musicisti conosciuti solitamente come virtuosi (e meno come didatti), alle prese con gli studenti in lezioni aperte al pubblico.
I pianisti troveranno i consigli di Rubinstein (cercando nel motore di ricerca “Lessons with Rubinstein”), di Bolet (“Jorge Bolet Master Class”), di Maria Joao Pires (“Joao Pires gives piano masterclass”), di Emanuel Ax e di Barenboim. Per i violinisti ci sono le masterclasses di Igor Oistrakh, Jascha Heifetz, Maxim Vengerov e quelle esilaranti di Itzhak Perlman (scrivete di seguito al nome “I know I played every note”).
In versioni “casalinghe” o in veste ufficiale, a tu per tu con un allievo, o di fronte a una classe intera, ce n’è da accontentare tutti: gli appassionati si faranno un’idea di cosa significhi “fare” concretamente la musica e i musicisti trarranno altrettanto validi suggerimenti.
Quasi tutti i filmati sono in inglese (qualche eccezione in francese e tedesco, ma sottotitolati): la qualità audio/video è varia, così loro la durata, ma vale la pena di cercare. L’intero stuolo di insegnanti dell’Escuela Superior de Música Reina Sofía di Madrid è disponibile su www.magistermusicae.com in inglese e spagnolo: una vera e propria full immersion musicale. Occorrono Explorer e Windows Media Player per la visualizzazione (ma non è disponibile per chi usa Firefox), le lezioni sono a pagamento per i privati (4 € all’ora) particolari facilitazioni esistono per le scuole.
Miniera di tesori, soprattutto audio, è il podcast www.dacapoalfine.it che nei suoi tre anni di vita ha raccolto interviste, profili di interpreti, schede su particolari strumenti, segnalazioni di eventi musicali (alla stregua dei forum). Vista la quantità di materiale che ospita il sito la navigazione è più comoda per categorie.

Benedetta Saglietti

Il Giornale della Musica, n. 247, aprile 2008, p. 40

mercoledì 16 aprile 2008

Una fantasia da scoprire

L'universo delle opere note di Johann Sebastian Bach è ancora in espansione, come ci conferma questa notizia dell'agenzia ANSA (pubblicata a seguito dell'annuncio dato dall'Università Martin Luther de Halle-Wittenberg).

(ANSA) - "BERLINO, 15 APRILE - Due ricercatori musicali trovano ad Halle una fantasia per organo finora sconosciuta del musicista Johann Sebastian Bach (1685-1750). Si tratta di una fantasia sul corale 'Wo Gott der Herr nicht bei uns haelt', della quale finora erano note solo cinque battute. La composizione appena ritrovata, della durata di circa 6 minuti, era in una trascrizione del direttore musicale del coro della chiesa luterana di San Tommaso a Lipsia, Wilhelm Rust (1822-1892) da lui realizzata nel 1877."

Nel 1858 Rust editò la prima opera completa di Bach, in 26 volumi. La biblioteca universitaria di Leipzig aveva acquisito qualche settimana fa parte della collezione di Rust in una casa di aste della città. Pochi giorni fa i musicologi Michael Pascholke e Stephan Blaut scoprirono il brano sconosciuto di Bach, mentre controllavano i documenti. La composizione è stata analizata esaustivamente dagli esperti Hans-Joachim Schulze e Peter Wollny dell'Archivio di Bach a Leipzig: l'Università di Halle ormai non ha alcun dubbio sull'autenticità del pezzo.

Negli anni diversi brani del compositore di Eisenach dati per perduti furono riscoperti. Forse uno dei ritrovamenti più strani avvenne nel 1879, quando fu scoperto un gran numero di manoscritti di Bach in una proprietà agricola tedesca: i manoscritti erano stati usati come riempimento dei tronchi di alberi da frutto! Ecco come veniva riportata la notizia nel New York Times: DISCOVERY OF MISSING MUSIC. Manuscript works of Bach found in an old trunk and used for padding fruit trees

Liana Püschel

sabato 12 aprile 2008

György Ligeti e il Concert Românesc

György Ligeti e il Concert Românesc alla Rai, a Torino

Per avere un'idea di quale fosse il clima di repressione culturale nell'Ungheria degli anni Cinquanta, basta raccontare la storia del Concert Românesc di György Ligeti. Questa partitura, scritta nel 1951, venne provata una sola volta a Budapest e poi vietata per via di alcuni passaggi nell'ultimo movimento ritenuti troppo modernisti. Probabilmente si trattava di quei momenti di pulviscolo sonoro in cui un fitto intrico di linee melodiche produce una sensazione di brulicare vorticoso con delle armonie molto dense, cromatiche. Tutto il contrario della chiarezza diatonica che allora si richiedeva ai compositori. Questa intuizione sonora, se insospettì la censura, non venne però dimenticata da Ligeti quando conquistò la libertà nel 1956 a seguito di una rocambolesca fuga (si era nascosto a bordo di un treno postale diretto verso l'Austria). Sarà infatti proprio con questo tipo di musica "micro-polifonica" e statica che conquisterà la fama in Europa nei primi anni Sessanta con composizioni come Apparitions, Atmosphères e Volumina.
Ma a parte alcuni passi sperimentali, il Concert Românesc è tutt'altro che statico, con i suoi temi popolari e i suoi quattro movimenti contrastanti che si alternano senza pause tra di loro. È uno di quei lavori che meglio testimoniano della prima fase creativa di Ligeti, quella legata alla lezione di Bartók e Kodály, alle ricerche di etnografia musicale sul campo. Una fase, però, anche di incubazione in cui maturarono nuove idee, avvisaglie di utopie sonore per ora irrealizzabili, ma di là da venire. La situazione di Ligeti era quella di un prigioniero che sa che al di fuori della sua cella stanno avvenendo cose nuove e importanti ma, non avendo accesso al mondo esterno, non può che dispiegare la sua immaginazione per cercare di ricreare quello a cui non ha accesso. Così si spiega anche il folgorante acume con cui Ligeti affrontò le questioni dell'avanguardia una volta arrivato in Germania e la compiutezza dei suoi primi lavori, pur così diversi da quanto avesse fino ad allora composto.
All'ascolto del Concert Românesc si avverte una certa insofferenza, che non è solo il segno di una sensibilità giovanile ma una voglia di prendere a strattonate il linguaggio musicale corrente, di spingerlo in direzioni nuove e sconosciute. E proibite. Una volta stroncato dalla censura, il Concert Românesc rimase chiuso in un cassetto finché non venne ripescato nel 1971. Oggi, questa brillante opera giovanile si sta guadagnando un posto nel repertorio ligetiano a fianco degli ultimi concerti per strumento, di cui possiede lo stesso gusto per il grottesco, per le deformazioni stralunate e sognanti.
Alberto Bosco, tratto da www.sistemamusica.it  

lunedì 7 aprile 2008

Laboratorio di musica antica - Musica vocale sacra del medioevo

ALIA MUSICA

Seminario Estate 2008 – dal 24 al 30 agosto
in collaborazione con il Comune di Fontevivo (PR)

I Mottetti latini del Codice di Bamberg

Sede: Fontevivo (PR), Ex Collegio Maria Luigia
Iscrizione: € 250
Tel. +39 521 255826 infocorsi@aliamusica.net

Il corso intende approfondire il repertorio di alcuni dei quarantaquattro mottetti latini contenuti nel codice di Bamberg (Bamberg, Staatl. Bibl. Ed. IV.6), un manoscritto pergamenaceo, di probabile compilatura parigina, che risale all’ultimo quarto del XIII. Oltre che per la ricchezza del suo materiale musicale, è particolarmente interessante dal punto di vista della notazione. Si tratta di una notazione estremamente omogenea, in quanto affidata ad un unico copista, che ha ancora tutte le caratteristiche della cosiddetta notazione modale ma con una serie di aggiornamenti che la rendono di più facile decifratura e ne consentono, oggi, la lettura diretta senza particolari difficoltà.

Il lavoro che verrà svolto sarà quello di arrivare all’esecuzione del repertorio tramite la lettura diretta della fonte originale, attività che si rivelerà particolarmente stimolante, oltre che fondamentale, ai fini di una esecuzione più consapevole.

Il corso è aperto a cantanti e strumentisti per i quali sarà possibile anche affrontare l’esecuzione dei sette brani strumentali che si trovano alla fine della sezione musicale del codice (ff. 62v-64v).


Direzione musicale: Claudia Caffagni

venerdì 4 aprile 2008

IV Corso di formazione sulla musica nel Medioevo

Problemi di classificazione

e metodi della bibliografia

Collazzone (Perugia)

4-7 luglio 2008

I Corsi di formazione sulla musica nel medioevo, di cui si presenta la quarta edizione, nascono dall’esigenza di valorizzare e condividere con un più ampio numero di studiosi l’esperienza di «Medioevo musicale», banca dati bibliografica e discografica realizzata in seno alla Sezione Musica della Fondazione Ezio Franceschini www.sismelfirenze.it, i cui aggiornamenti sono annualmente pubblicati in forma cartacea nell’omonimo repertorio periodico edito dalla SISMEL-Edizioni del Galluzzo www.sismel.it


Vogliono inoltre essere occasione di confronto scientifico tra studiosi di varia provenienza geografica e disciplinare, che si ritrovano per approfondire le principali tematiche della cultura musicale medievale in convegni, seminari, tavole rotonde, organizzati ogni due anni a conclusione della relativa edizione, di cui saranno pubblicati gli Atti presso la casa editrice fiorentina SISMEL – Edizioni del Galluzzo. L’edizione di due anni fa si è conclusa con il convegno internazionale «Deo è lo scrivano ch’el canto à ensegnato». Segni e simboli nella musica al tempo di Iacopone, di cui sono in preparazione gli Atti, organizzato con il patrocinio del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del VII centenario della morte di Iacopone da Todi. Quest’anno si intende invece proporre una tavola rotonda su un tema interdisciplinare di particolare interesse, ovvero sulle interrelazioni tra cultura musicale e cultura filosofica in età universitaria, quando si registrò un impulso al rinnovamento del sapere, dettato non da ultimo dall’ampliamento del corpus testuale filosofico attraverso le traduzioni dal greco e dall’arabo. La rivoluzione epistemologica che ne conseguì non mancò di toccare la musica e le discipline ad essa correlate. Quesito ancora aperto relativamente alle trasformazioni avvenute in questo periodo è quello che verte sulle modalità con cui il rapporto tra discipline scientifiche e arti produsse un’influenza sulla teoria musicale e sulla prassi compositiva dell’epoca. Su questi temi la tavola rotonda si soffermerà nell’intenzione di ricapitolare lo stato delle ricerche ed eventualmente identificare dei percorsi d’indagine prioritari.

  • I corsi si articolano secondo tre linee formative: le tecniche bibliografiche, l’impiego delle risorse informatiche, l’approfondimento dei temi corrispondenti alle diverse sezioni di «Medioevo musicale».
  • Alle prime due linee formative rispondono sia le lezioni e le esercitazioni, in cui si illustrano le caratteristiche della scheda bibliografica in relazione alle sezioni di «Medioevo musicale», sia l’immissione guidata dei dati, che permetterà di assimilare le nozioni metodologiche e di conoscere e padroneggiare il programma informatico. Il Corso del 2008 approfondirà inoltre alcune problematiche scientifiche collegate alla Parte Seconda di «Medioevo musicale» (Storia della tradizione – Filologia e ecdotica) e in particolare al tema dei metodi della filologia musicale, su cui verterà la lezione della prof.ssa Maria Caraci Vela (Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia, con sede a Cremona).
  • Il corso è per 15 partecipanti e non prevede nessun costo d’iscrizione. Il vitto e l’alloggio sono a carico dell’organizzazione, mentre sono previsti rimborsi forfettari fino a 100,00 € per le sole spese di viaggio, previa presentazione di adeguata documentazione. Coloro che fossero interessati sono pregati di compilare debitamente il modulo d’iscrizione qui allegato e di inviarlo, insieme al proprio curriculum vitae con l’indicazione dei recapiti telefonici e di posta elettronica, al Presidente della Fondazione Ezio Franceschini, all’indirizzo indicato sotto. Le domande di iscrizione dovranno pervenire entro e non oltre il 20 maggio 2008 (farà fede il timbro postale).

Recapiti:
Fondazione Ezio Franceschini, Certosa del Galluzzo 50124, Firenze
Tel 055-2049749 Fax 055 2320423, e-mail: mtucci.formazione@fefonlus.it
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