György Ligeti e il Concert Românesc alla Rai, a Torino
Per          avere un'idea di quale fosse il clima di repressione culturale nell'Ungheria          degli anni Cinquanta, basta raccontare la storia del Concert Românesc          di György Ligeti. Questa partitura, scritta nel 1951, venne provata          una sola volta a Budapest e poi vietata per via di alcuni passaggi nell'ultimo          movimento ritenuti troppo modernisti. Probabilmente si trattava di quei          momenti di pulviscolo sonoro in cui un fitto intrico di linee melodiche          produce una sensazione di brulicare vorticoso con delle armonie molto          dense, cromatiche. Tutto il contrario della chiarezza diatonica che allora          si richiedeva ai compositori. Questa intuizione sonora, se insospettì          la censura, non venne però dimenticata da Ligeti quando conquistò          la libertà nel 1956 a seguito di una rocambolesca fuga (si era          nascosto a bordo di un treno postale diretto verso l'Austria). Sarà          infatti proprio con questo tipo di musica "micro-polifonica"          e statica che conquisterà la fama in Europa nei primi anni Sessanta          con composizioni come Apparitions, Atmosphères e Volumina.
Ma a parte alcuni passi sperimentali, il Concert Românesc è          tutt'altro che statico, con i suoi temi popolari e i suoi quattro movimenti          contrastanti che si alternano senza pause tra di loro. È uno di          quei lavori che meglio testimoniano della prima fase creativa di Ligeti,          quella legata alla lezione di Bartók e Kodály, alle ricerche          di etnografia musicale sul campo. Una fase, però, anche di incubazione          in cui maturarono nuove idee, avvisaglie di utopie sonore per ora irrealizzabili,          ma di là da venire. La situazione di Ligeti era quella di un prigioniero          che sa che al di fuori della sua cella stanno avvenendo cose nuove e importanti          ma, non avendo accesso al mondo esterno, non può che dispiegare          la sua immaginazione per cercare di ricreare quello a cui non ha accesso.          Così si spiega anche il folgorante acume con cui Ligeti affrontò          le questioni dell'avanguardia una volta arrivato in Germania e la compiutezza          dei suoi primi lavori, pur così diversi da quanto avesse fino ad          allora composto.
All'ascolto del Concert Românesc si avverte una certa insofferenza,          che non è solo il segno di una sensibilità giovanile ma          una voglia di prendere a strattonate il linguaggio musicale corrente,          di spingerlo in direzioni nuove e sconosciute. E proibite. Una volta stroncato          dalla censura, il Concert Românesc rimase chiuso in un cassetto          finché non venne ripescato nel 1971. Oggi, questa brillante opera          giovanile si sta guadagnando un posto nel repertorio ligetiano a fianco          degli ultimi concerti per strumento, di cui possiede lo stesso gusto per          il grottesco, per le deformazioni stralunate e sognanti. 
Alberto Bosco, tratto da www.sistemamusica.it  

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