sabato 21 febbraio 2009

E Hofmannsthal si inchino' alle note di Beethoven

Più che una riflessione sulla musica, i due discorsi tenuti da Hofmannsthal nel 1920 e ora tradotti in un bel volume a cura di Roberto Di Vanni propongono un'elaborazione letteraria del mito di Beethoven. Il grande compositore vi viene presentato come il culmine di quella generazione "eroica" che, con Rousseau e Schiller, con Herder e Goethe, aveva esaltato il valore dell'individuo e la sua facoltà di "contemplare Dio direttamente in volto". Se un'intera epoca, animata di fervore titanico, aveva lottato "per la conquista di un linguaggio capace di esprimere ogni cosa", in Beethoven tale processo giunge a compimento: egli è il "creatore di un linguaggio al di sopra del linguaggio", e ciò rende legittimo, anzi, addirittura inevitabile agli occhi di Hofmannsthal inserire la sua figura "nel novero dei poeti della nazione".

L'aspetto interessante di questi testi sta nel fatto che in essi, a distanza di quasi vent'anni, ritorna il grande tema della Lettera di Lord Chandos, ma stranamente capovolto, come in un' immagine speculare. Non per caso Hofmannsthal afferma che rispetto all' esperienza vissuta dalla generazione dello Sturm und Drang "noi siamo collocati in termini di esperienza contraria": la crisi espressa dal giovane poeta nella Lettera consiste precisamente nel fatto che la lingua, anche nei suoi gradi eccelsi, non è più "capace di esprimere ogni cosa", forse a ben vedere non è capace di esprimerne alcuna, si rivela ormai del tutto priva di quella potenza metafisica e quasi magica che ancora un secolo prima sembrava in grado di costringere Dio stesso a manifestarsi nella parola.

E' significativo, e testimonia una profonda continuità di pensiero rispetto all'opera giovanile, che nei discorsi del 1920 Hofmannsthal seguiti a negare alla parola poetica, persino a quella di un "titano" come Goethe, la capacità di attingere l'assoluto, e l'attribuisca invece alla musica, quasi che ad essa soltanto fosse dato di incarnare la remota utopia di Lord Chandos: "Una lingua in cui mai parlano le cose mute, e in cui forse un giorno nella tomba mi trovero' a rispondere davanti a un giudice ignoto".

HUGO VON HOFMANNSTHAL
Beethoven, Genova, Graphos, p. 82, 11 euro

Paola Capriolo, 23 gennaio 2000 - Corriere della Sera, p. 33

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