Non è per nulla facile rappresentare l'Arianna a Nasso di Richard Strauss, su testo di Hugo von Hofmannsthal: occorre far capire l'equilibrio tra mito e commedia, il rapporto tra la cornice dell'opera (il Prologo) e l'opera stessa (Arianna in quanto tale), la mutevolezza prodigiosa di una musica di filigrana che riutilizza con coscienza storica del Novecento stilemi dell'opera, ma va a trionfare in uno sgorgo melodico sinfonico. Chi trionfa qui è il direttore Juanjo Mena, il quale tende sì ad appianare un poco i contrasti del Prologo, che è una rutilante recitazione in musica, ma conosce i segreti della melodia e del suo respiro. Ne avessimo di direttori come Mena, che in Arianna smussa ogni angolo con un legato d'ottima scuola e sensibilità per i colori strumentali. Di livello è qui Elena Mosuc nelle spericolate colorature di Zerbinetta; invece all'Arianna di Oksana Dika manca il carisma e il Bacco di Warren Mok è tagliato con l'accetta; modestini gli altri e abbastanza urlato il Compositore "en travesti" di Elena Belfiore. Che il regista Philippe Arlaud porti tutto nel Novecento non è un problema, perché l'opera è il rifacimento moderno del mito, di Molière e di quant'altro con allusioni a profusione. Ma in questo gioco di teatro nel teatro Prologo e Opera, per quanto interrelati, rimangono separati, mentre qui transitano di nuovo in palcoscenico maestranze e comparse fatte apparire nel Prologo, incluso il Maggiordomo recitato con qualche sfrontatezza da Franz Tscherne. Tra le volute intersezioni questa non fu prevista dagli autori: è, anzi, la rottura dell'equilibrio.
Genova, Teatro Carlo Felice, fino al 28 febbraio
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