Vi scrivo perché sento infine la necessità di dire qualche cosa pubblicamente riguardo alla situazione con la Fondazione Rossini di Pesaro. Come voi sapete, dopo una collaborazione durata quasi 35 anni, all'inizio del 2006, quando stavo lavorando per loro come direttore dell'Edizione Critica delle Opere di Gioachino Rossini, la Fondazione Rossini mi ha licenziato. Dopo quasi un anno di inutili tentativi di trovare una soluzione (attraverso Casa Ricordi di Milano), ho firmato invece un contratto con Bärenreiter-Verlag di Kassel per pubblicare "Works of Gioachino Rossini", una serie di volumi che teoricamente comprende tutta la musica che non è apparsa sotto la mia direzione per la Fondazione Rossini.
Di questa serie, due volumi sono stati già pubblicati: Musica da camera senza pianoforte nel 2007 e Il barbiere di Siviglia nel 2008. Altri tre sono prossimi alla stampa: Petite Messe Solennelle (programmato per il 2009), Musica per Banda (anche questo programmato per il 2009), La cambiale di matrimonio (programmato per il 2010) e ci sono contratti per altri cinque volumi (e un accordo per altri dieci volumi dopo questi cinque). [Ne avevamo parlato a questo link]. Fin qui, tutto va bene.
La Fondazione ha la libertà assoluta di decidere di non lavorare più con me e io, come gli studiosi di tutto il mondo che hanno lavorato con essa in passato, ho la libertà assoluta di lavorare per un altro editore.
Ma la situazione di cui vorrei pubblicamente parlare attraverso i giornali e le riviste, ha da fare con la biblioteca della Fondazione. Come voi sapete, si tratta di un'istituzione pubblica finanziata dal comune di Pesaro e dallo stato italiano, il che dovrebbe voler dire che la biblioteca della Fondazione dev'essere pubblica, utilizzabile da tutti quelli che hanno necessità e competenze.
Se c'è un regolamento e le regole per l'utilizzazione della biblioteca sono applicabili a tutti gli utenti, queste devono essere chiare e specifiche, rese note e magari incluse sul sito web o comunque disponibili in modo scritto all'attenzione degli utenti. Ogni biblioteca in effetti deve avere la cosiddetta "carta dei servizi" che solitamente si uniforma al D.P.R. 5.7.95 n. 417 "Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali". 18 mesi fa ho fatto l'errore madornale di annunciare alla Fondazione di volermi recare a Pesaro per studiare tre manoscritti rossiniani che appartengono alla loro collezione, nel normale orario di apertura al pubblico. Sono andato, ma prima che potessi vedere i manoscritti mi hanno informato di aver mandato quattro manoscritti musicali di Rossini in "restauro."
Dovete sapere che la Fondazione possiede centinaia di manoscritti di Rossini, ma fra i quattro manoscritti che hanno deciso di mandare in "restauro" in quel momento erano compresi proprio i tre che ho chiesto di vedere. Hanno insistito nel dire che la cosa non aveva niente a che vedere con quanto successo tra me e la Fondazione, ma si deve essere proprio ingenui per crederci. Tuttavia, durante quella visita mi hanno fatto portare altri manoscritti da consultare presso la biblioteca, nel Palazzo Antaldi (i manoscritti si trovano attualmente nel cosìddetto "Tempietto" presso il Conservatorio) e mi hanno assicurato che in futuro avrei potuto consultare quei manoscritti che avrei voluto vedere. Questo è stato anche detto con chiarezza alla presenza degli avvocati a Roma durante un incontro lo scorso anno. A quel tempo hanno detto che non era necessario metterlo per iscritto, dal momento che è legge! Di questa situazione ho informato diversi fra voi già 18 mesi fa, dicendo che speravo che le cose potessero migliorare in futuro e che ritenevo che sarebbe stato meglio non scrivere niente in quel momento.
La settimana scorsa ho scritto di nuovo alla Fondazione (ma quando imparerò a non farlo!) per dire che avevo l'intenzione di recarmi a studiare in biblioteca nella giornata di ieri. Dato che nel sito web della Fondazione non è indicato l'orario della Biblioteca (almeno non era così indicato la settimana scorsa), ho chiesto una verifica dell'orario. Hanno ricevuto il messaggio e hanno risposto (avevo fatto un piccolo errore nell'orario ed ero contento di lavorare nelle corrette ore di apertura che mi hanno poi comunicato). Ma quando sono arrivato ieri, ho scoperto che adesso è necessario avere un permesso scritto per vedere un manoscritto: una nuova regola, di cui non c'era nessuna indicazione nel sito web alla fine della settimana scorsa e non c'era nessuna indicazione scritta nella biblioteca ieri e di cui non mi avevano informato neanche per e-mail. Certamente non era la regola 18 mesi fa. Quando la bibliotecaria ha tentato di contattare le due persone che avrebbero potuto dare il permesso (il Presidente Giovanelli e il Segretario Amati), entrambi erano fuori sede senza la possibilità di essere contattati. Difficile non credere che questa regola non scritta e questa assenza non siano state intenzionali per impedirmi di consultare i manoscritti che volevo vedere. Le povere ragazze che lavorano nella Biblioteca sono state gentili; mi hanno fatto vedere delle fotocopie e anche riproduzioni digitali (fatte abbastanza bene), ma per le mie verifiche era essenziale vedere i manoscritti. Apparentemente, la Fondazione vuole rendere questa consultazione impossibile per me (e debbo pensare anche per quegli studiosi che lavorano con me).
Mi sembra che un'istituzione pubblica non abbia il diritto di fare una cosa del genere, e forse si dovrebbe dire chiaramente al pubblico, al governo italiano e alla città di Pesaro che dovrebbero verificare la gestione di un'istituzione da essi finanziata e che impedisce la ricerca. Forse la collezione della Fondazione Rossini dovrebbe essere depositata interamente alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, dove gli studiosi possono accedere normalmente senza esser coinvolti in una situazione politicamente difficile. O forse si potrebbe semplicemente chiedere che-come biblioteca pubblica-la Fondazione Rossini agisca come le altre biblioteche di tutto il mondo, dalla Library of Congress alla British Library, dalla Bibliothèque Nationale all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che hanno scritto i loro regolamenti con chiarezza e trasparenza ed aiutano gli studiosi, piuttosto che impedire loro di lavorare.
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