In genere si pensa che a scrivere di musica siano musicologi, storici della musica o musicisti stessi particolarmente versati nella stesura di testi esplicativi o di apparati filologici; e in genere si pensa che durante un concerto le uniche persone a scrivere siano i critici musicali.
[...] Chi scrive davvero è il resto del pubblico, l'ascoltatore semplice, l'abbonato. Non che tutti estraggano la penna dal taschino o dalla borsetta e si mettano a scrivere sul programma come a una lezione: i casi sono limitati, quasi occulti, ma concentrano manifestazioni di grafomania esagitata.
Il punto, tuttavia, è questo: scrivono di musica? Magari, o per fortuna no. Ascoltano la musica? Forse. Però l'impressione è che tali soggetti facciano tutt'altro. Quanto abbiamo compianto i poveri ingressisti che all'Auditorium, già a luci spente, venivano regolarmente fatti sloggiare dai titolari di tre posti della fila avanti la nostra, sempre ritardatari, i quali per tutto il concerto vergavano e vergavano e si scambiavano fogli (in quinta fila centrale, non in balconata). Che c'era sopra? Disegni, scarabocchi: doveva essere un vertice serale di architetti, cui la musica però non favoriva molto la creatività, visto che i progetti istoriati sui programmi restavano a fine serata abbandonati lì, ad uso dell'impresa di pulizie.
Per carità, il numero di chi scrive a concerto resta inferiore a chi legge. E per fortuna: visto che a volte si spende qualche soldino per stampare un testo, è bene che questo sia letto. Il problema è che si legge altro. Il signore della fila dietro arrivava sempre munito di un noto quotidiano, di un celebre settimanale, a volte anche di un romanzo. A parte alcune varianti di rumorosità nel voltare le pagine (frusciante il giornale, felpato il romanzo) il risultato non cambiava: un anticipo del riposo notturno, e se stava esibendosi un quartetto d'archi, capitava che s'inserisse un contrabbasso non previsto dalla partitura. E cosa dire del signore che, al Conservatorio, leggeva il supplemento economico del quotidiano parigino del pomeriggio? E delle signore che si beavano di romanzi rosa, chiudendoli per gli applausi ma riaprendoli tosto al languoroso bis di Chopin?
Quasi nulla rispetto a un programma che ci è venuto per caso in mano, abbandonato su una poltrona del Lingotto dopo una sera in cui era stata eseguita la Quarta Sinfonia di Mahler. Irresistibile spaccato di ciò che qualcuno fa durante un concerto, è un documento insostituibile per fondare una fenomenologia del pubblico, che evidentemente coltiva le proprie relazioni usando come veicolo i libretti di sala. Si dà qui trascrizione fedele ma non integrale del dialogo (alcune cose sono irriferibili), riservandoci i necessari commenti. "X è in aspettativa o per tutelare tutte e due le cose? - Tempo parziale, immagino".
Già, il concerto serve per capire trame nascoste di colleghi o per parlare segretamente di personaggi noti in città; infatti la musica di Mahler è ben conosciuta, perché l'indicazione dell'ultimo movimento (La vita celestiale) è cerchiata e reca l'annotazione: "Y dice che solo questo è cantato", dove certamente Y - un probabile terzo vicino di posto - avrà in precedenza letto tutti i volumi di Henry Louis de La Grange. Al che, uno o una dei nostri dialoganti, nel timore di subire il suono di una voce umana, predispone la tattica di un generale di corpo d'armata: "Quando entra la cantante ci sarà una pausa lunga. Ce ne possiamo andare".
Ah, fatale errore strategico! La pausa non ci fu affatto, perché la cantante entrò sul finale del terzo movimento e il quarto venne attaccato senza soluzione di continuità. Premesso che perdendosi la cantante non avrebbero, in questo caso, perso nulla, occorreva trovare una maniera di difesa. Ed eccola qui, accanto alla traduzione italiana del testo cantato: l'organizzazione della cena del venerdì o sabato sera. "Forse non facciamo nessun castagnaccio!". Che peccato, era proprio stagione, e poi è così buono. "Ho in freezer della frutta cotta elegante". Un po' snobbettina, in verità. "Aggiungo prugne cotte, mandorle, con savoiardi, e va bene così!". Senza dubbio magnifico, una vera leccornia. Ma perché la prossima volta non arriva a concerto con un tiramisù bell'e pronto? Potrebbe offrirne anche alla cantante: tanto è lì solo per passare il tempo, o no?
[...] Chi scrive davvero è il resto del pubblico, l'ascoltatore semplice, l'abbonato. Non che tutti estraggano la penna dal taschino o dalla borsetta e si mettano a scrivere sul programma come a una lezione: i casi sono limitati, quasi occulti, ma concentrano manifestazioni di grafomania esagitata.
Il punto, tuttavia, è questo: scrivono di musica? Magari, o per fortuna no. Ascoltano la musica? Forse. Però l'impressione è che tali soggetti facciano tutt'altro. Quanto abbiamo compianto i poveri ingressisti che all'Auditorium, già a luci spente, venivano regolarmente fatti sloggiare dai titolari di tre posti della fila avanti la nostra, sempre ritardatari, i quali per tutto il concerto vergavano e vergavano e si scambiavano fogli (in quinta fila centrale, non in balconata). Che c'era sopra? Disegni, scarabocchi: doveva essere un vertice serale di architetti, cui la musica però non favoriva molto la creatività, visto che i progetti istoriati sui programmi restavano a fine serata abbandonati lì, ad uso dell'impresa di pulizie.
Per carità, il numero di chi scrive a concerto resta inferiore a chi legge. E per fortuna: visto che a volte si spende qualche soldino per stampare un testo, è bene che questo sia letto. Il problema è che si legge altro. Il signore della fila dietro arrivava sempre munito di un noto quotidiano, di un celebre settimanale, a volte anche di un romanzo. A parte alcune varianti di rumorosità nel voltare le pagine (frusciante il giornale, felpato il romanzo) il risultato non cambiava: un anticipo del riposo notturno, e se stava esibendosi un quartetto d'archi, capitava che s'inserisse un contrabbasso non previsto dalla partitura. E cosa dire del signore che, al Conservatorio, leggeva il supplemento economico del quotidiano parigino del pomeriggio? E delle signore che si beavano di romanzi rosa, chiudendoli per gli applausi ma riaprendoli tosto al languoroso bis di Chopin?
Quasi nulla rispetto a un programma che ci è venuto per caso in mano, abbandonato su una poltrona del Lingotto dopo una sera in cui era stata eseguita la Quarta Sinfonia di Mahler. Irresistibile spaccato di ciò che qualcuno fa durante un concerto, è un documento insostituibile per fondare una fenomenologia del pubblico, che evidentemente coltiva le proprie relazioni usando come veicolo i libretti di sala. Si dà qui trascrizione fedele ma non integrale del dialogo (alcune cose sono irriferibili), riservandoci i necessari commenti. "X è in aspettativa o per tutelare tutte e due le cose? - Tempo parziale, immagino".
Già, il concerto serve per capire trame nascoste di colleghi o per parlare segretamente di personaggi noti in città; infatti la musica di Mahler è ben conosciuta, perché l'indicazione dell'ultimo movimento (La vita celestiale) è cerchiata e reca l'annotazione: "Y dice che solo questo è cantato", dove certamente Y - un probabile terzo vicino di posto - avrà in precedenza letto tutti i volumi di Henry Louis de La Grange. Al che, uno o una dei nostri dialoganti, nel timore di subire il suono di una voce umana, predispone la tattica di un generale di corpo d'armata: "Quando entra la cantante ci sarà una pausa lunga. Ce ne possiamo andare".
Ah, fatale errore strategico! La pausa non ci fu affatto, perché la cantante entrò sul finale del terzo movimento e il quarto venne attaccato senza soluzione di continuità. Premesso che perdendosi la cantante non avrebbero, in questo caso, perso nulla, occorreva trovare una maniera di difesa. Ed eccola qui, accanto alla traduzione italiana del testo cantato: l'organizzazione della cena del venerdì o sabato sera. "Forse non facciamo nessun castagnaccio!". Che peccato, era proprio stagione, e poi è così buono. "Ho in freezer della frutta cotta elegante". Un po' snobbettina, in verità. "Aggiungo prugne cotte, mandorle, con savoiardi, e va bene così!". Senza dubbio magnifico, una vera leccornia. Ma perché la prossima volta non arriva a concerto con un tiramisù bell'e pronto? Potrebbe offrirne anche alla cantante: tanto è lì solo per passare il tempo, o no?
Giangiorgio Satragni
Liberamente tratto da Sistema Musica giugno-luglio 2001
Questo è anche il nostro primo esperimento di post grafico!
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