liberamente tratto da www.saggiatoremusicale.it
Cosa si deve sapere per comprendere Bach? Nulla. Per tutta la vita, nel corso della mia attività scientifica, ho cercato incessantemente di avvicinarmi a Bach dal lato della scienza, dell’intelletto, e di farne parte ad altri, affinché anch’essi comprendessero Bach meglio di quanto non paia possibile fare senza né scienza né intelletto. Ma quanto più volevo sapere, e quanto più cercavo di trasmettere ad altri il sapere, tanto più chiaramente ho dovuto poi riconoscere che in ogni ricerca del sapere rimane un residuo a cui il sapere non può attingere. E via via che invecchiavo, il residuo si faceva sempre più grande, e vedevo in modo sempre più limpido che in esso, in questo inattingibile, sta la cosa principale, la più importante ed essenziale.
Questo residuo lo chiamerò x.
Le cose stanno così: ogni ricerca intorno a Bach, il concepire in quanto atto concettuale, il sapere prodotto dall’intelletto, tutto ciò è costantemente alla ricerca di questo x. Inoltre, l’infinitamente irraggiungibile è l’impulso che mai si inaridirà, il vortice della ricerca concettuale, anche se, o proprio perché, rimane alla fine inaccessibile all’intelletto. E d’altro canto lo x è in pari tempo ciò che, ascoltando la musica di Bach senza né ricerca concettuale né volontà di sapere, viene compreso per primo. Questo comprendere situato al di là della concettualità linguistica lo chiamo ‘comprensione estetica’. Qui ‘estetico’ non è inteso nel senso di bello o di estraneo alla realtà, ma nel senso della parola greca aístánomai presa nel suo significato di base, il percepire coi sensi. I nostri sensi colgono ciò che risuona, che nella sua modalità d’essere è situato al di là del linguaggio verbale; essi comprendono ciò che risuona nel suo esser al di là in quanto linguaggio non verbale. La comprensione estetica comprende lo x come x, cioè comprende ciò che sul piano dei concetti dell’intelletto è inattingibile. Quest’inattingibile può essere nominato: abbiamo a disposizione nomi come l’inconcepibile, l’essente e vero intemporale, l’assoluto, il trascendente, il divino, o semplicemente: Dio.
Da sempre la musica è oggetto di riflessione secondo quest’orientamento di pensiero; la si è detta di origine divina, dono di Dio, presenza di Dio, strumento della conoscenza di Dio. Ogni volta che rileggiamo quel che l’uomo ha pensato sulla musica, allorché ne ha interrogato il senso ultimo, l’enunciazione giunge al confine dove si situa il "residuo", la cosa principale. Giunge allo x e lo nomina coi concetti dell’inconcepibile. Il Dio di Bach è il Dio cristiano. Questo lui non l’ha detto: di Dio, a parole, Bach non ha quasi mai parlato. Soli Deo gloria e regulierte Kirchenmusik zu Gottes Ehre (musica da chiesa regolata per onorare Dio) significano semplicemente: Dio. Ma la dimensione cristiana della fede di Bach è esperibile attraverso la sua musica, sia quella vocale su testo liturgico sia quella per organo legata al corale. La ricerca intorno a Bach trova nell’esegesi musicale bachiana del testo, in una ricchezza inesauribile, il Dio della rivelazione cristiana: come quando, ad esempio, nell’intonare la parola sterben (morire) tutte le voci del coro si spingono poderosamente in avanti – verso il cielo. Ma le parole "Mensch, du mußt sterben" (O uomo, tu devi morire) non sono lo x: sono una enunciazione articolata nel linguaggio dei concetti. E neppure l’esegesi musicale di queste parole, il gesto ascensionale delle voci, è lo x: è una riunione linguisticamente concepibile di testo e musica in una comprensione cristiana del morire. Lo x è l’elemento sonoro in sé e per sé, sia esso ascensionale, come in questo passo, o discendente, disperato o abbandonato o musicalmente neutro o quale che sia la sua forma fenomenica. Lo x, anche dove gli è conferito un concreto significare, è ciò che sta dietro la facciata: l’elemento concettualmente inattingibile di quanto in modo puro e semplice risuona musicalmente. Qualcosa di analogo avviene nella musica strumentale, nella musica che sta al di là del testo, ad esempio in una fuga di Bach. Noi possiamo descrivere com’essa è conformata: tema, sviluppo e divertimenti, contrappunto e armonia, elementi stilistici tipici del genere e quelli irripetibili. E tutta questa approssimazione concettuale è al servizio della comprensione mediante l’ascolto. Ma poi arriva l’ascolto; e avviene lo scossone, quello che ci fa entrare nell’Altro, nel mondo di ciò che risuona musicalmente. Quanto viene descritto analiticamente si unisce all’ineffabilità e si immerge in essa. Eppure, anche senza sapere cosa siano dux e comes, contrappunto e armonia, elementi ricorrenti e unici, noi percepiamo e comprendiamo ugualmente ciò che non sarà mai attingibile dalle parole nella sua complessità sensibile, che in ogni suo momento è al di là del linguaggio e fondamentalmente sta sopra ogni linguaggio. Siamo andati a finire nel mondo dello x.
Un accesso a Bach lo offrono anche la biografia, la storia, le tradizioni di cui Bach si appropriò e che rinnovò nel corso della sua vita, e che trovano un sedimento nella sua opera. Tutto questo è in grado di spiegare molte cose: ad esempio la varietà della sua produzione, radicata nella varietà degli incarichi professionali di Bach e progressivamente svincolata da questa situazione; il legame con la tradizione dell’artigianato musicale nel contrappunto, nel basso continuo e nella polifonia; quel collocarsi, individuabile nelle sue composizioni, tra luteranesimo, pietismo e illuminismo; la partecipazione al mondo ecclesiastico, a quello legato alle corporazioni e al mondo borghese, che andava nella direzione dell’autonomia musicale, cioè di un pensiero musicale libero sul piano estetico. Tanto si è studiato, pensato e scritto su questi approcci, che la massa della produzione critica è ormai incalcolabile; eppure le fonti pervenuteci vengono ogni giorno interpretate di bel nuovo. Ma anche questi tentativi interminabili di spiegare Bach a partire dalla storia cozzano tutti contro un limite, un confine invalicabile. Collocandoci al di qua di questo confine si può dire come la musica di Bach sia fatta in connessione con la sua situazione biografica e storica, nei due sensi di ‘storia generale’ e di ‘storia della composizione’; al di là del confine resta però inspiegabile il fatto generale che essa poté essere creata in quanto mondo sonoro – quella domanda che rimanda alla capacità creativa, alla genialità, al talento per la musica. Un talento concesso per grazia di chi? Ogni volta che si pone questa domanda, si può rispondere solo con lo x: per grazia di qualcosa di insondabile. E anche qui il nome di Dio non è lontano. Così uno x si unisce all’altro: la dimensione in ultima analisi inesprimibile della musica si unisce con il talento per essa.
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