Giorgio Pestelli e Susanna Franchi incontrano Emilio Sala
Interventi al pianoforte di
Gian Francesco Amoroso
Gian Francesco Amoroso
Venerdì 23 maggio, ore 18
Circolo dei Lettori Via Bogino 9, Torino
Intervista all'autore, a cura di S. Bestente
Liberamente tratta da Leggìo (n.15), EdT Musica
Da quello che possiamo leggere nel "Preludio" del suo libro, tutto ha avuto inizio nelle soffitte dell'Opéra Garnier di Parigi...
Sì. Stavo conducendo le ricerche per un precedente libro, e negli scatoloni che contenevano le parti orchestrali di alcuni "teatri di boulevard" che erano fi nite, non si sa ancora attraverso quale percorso, nell'archivio dell'Opéra, ho trovato una singola parte, quella dell'oboe, delle musiche di scena originali della Dame au camélias di Alexandre Dumas figlio; quello ha costituito il primo germe del Valzer delle camelie. È molto probabile che il motivo per cui quella musica era lì derivasse dai grandi lavori di Haussmann, che nei primi anni '60 dell'Ottocento aveva sventrato quello che veniva chiamato il "Boulevard du Crime", con conseguente dispersione degli archivi musicali. Nei giornali dell'epoca, per esempio, più di una volta si sottolinea come al mercato di Les Halles si incartasse il pesce con le carte da musica che provenivano dal teatro de la Gaîté o della Porte Saint Martin. Molte di queste carte, tuttavia, sono sopravvissute al disastro e sono finite in quello che fino ad alcuni anni fa era l'archivio dell'Opéra Garnier.
La gran parte delle pièces che ho analizzato venivano rappresentate nei teatri del "Boulevard du Crime", come veniva comunemente chiamato il Boulevard du Temple per la quantità di delitti che venivano rappresentati sulle scene dei suoi tanti teatri. Era uno dei luoghi fondamentali del "mito di Parigi" - per usare il termine di Giovanni Macchia - di quegli anni; per immaginarcelo bisogna pensare a quello che si vede nel film Les enfants du paradis di Marcel Carné, a quella promiscuità sociale, a quella vera e propria folla nel senso metropolitano, come la si può trovare negli scritti di Baudelaire; è un'esperienza che è stata commentata da Verdi, in una famosa lettera del 1847, come effetto di spersonalizzazione dello scenario metropolitano moderno: «là si trovano amici, nemici, preti, frati, soldati, spie, stoccatori»; anche questa è un'esperienza che ha un riscontro nella drammaturgia musicale verdiana. Si pensi all'episodio del "Bue grasso", nell'ultimo atto della Traviata, assente nella pièce di Dumas. Il Bue grasso non era un antico rituale, ma una vera e propria moda degli anni '40. D'altronde, il desiderio di aggiornamento di Verdi è testimoniato da innumerevoli indizi: nelle lettere da Parigi, soprattutto in quelle alla contessa Maffei, commenta molte delle pièces dei teatri di boulevard. Si tiene aggiornato su tutto, e quando non può essere presente di persona utilizza degli informatori.
Che ruolo rivestiva la musica in queste pièces?
Non era una presenza "decorativa" come succedeva in Italia negli stessi anni (dove era normale ascoltarla come interludio fra gli atti, o per un brindisi in scena, una serenata o simili); a Parigi svolgeva una vera e propria funzione drammaturgica. Quella parte di oboe suscitò in me un particolare interesse, poiché rappresentava l'unica testimonianza rimasta della musica d'accompagnamento della pièce di Dumas, che aveva ottenuto un enorme successo, con centinaia e centinaia di repliche. Non possediamo una prova certa, ma, attraverso tutta una serie di riscontri indiziari incrociati che fornisco nel libro, sembrerebbe più che probabile ipotizzare la presenza di Verdi a una di queste repliche.
Di chi erano queste musiche?
Era usanza che le musiche di scena fossero composte dal cosiddetto chef d'orchestre, che spesso era anche il primo violino. In questo caso si chiamava Edouard Montaubrie. Dumas, nella prefazione alla seconda edizione del libretto della pièce, ne loda in particolare il cosiddetto "motivo di riminiscenza": il motivo che si ascoltava durante la morte "per consunzione", cioè di tisi, della protagonista, Marguerite Gautier. Dumas dice che il motivo di reminiscenza che Montaubrie aveva pensato di far echeggiare durante la morte di Marguerite rappresentava un ricordo "de la vie folle qui s'exhalait", la "vita folle che evaporava". Allora, siccome c'era un evidente riscontro con la morte di Violetta nella Traviata, ho cercato di ricostruire il sistema rappresentativo e musicale che si trova alla base di una serie di pièces che mettono in scena la morte di un'ammalata di tisi. Ho quindi svolto una sorta di "ricerca sul campo", quasi di tipo etnomusicologico, per ricostruire l'immaginario sonoro della morte "per consunzione" nei teatri di boulevard dei primi anni '50 dell'Ottocento. Sottolineando come in tre soggetti che poi avrebbero avuto una grande fortuna anche operistica si possano ritrovare delle costanti fortissime, movimentate altresì da delle varianti interne: questi soggetti sono Manon Lescaut, Bohème e, appunto, La dama delle camelie.
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