Eduardo Rescigno, Una voce poco fa. 550 frasi celebri del melodramma italiano, Milano, Hoepli, 2007, pp. 392 (+ XXI), € 26,00
Una lapide posta all’angolo tra via Duchessa Jolanda e via Principi d’Acaja, a Torino, in ricordo dei partigiani del quartiere caduti durante la Resistenza, si chiude con questa epigrafe in versi: «Chi per la Patria muor / vissuto è assai: / la fronda dell’allor / non langue mai. // Piuttosto che languir / sotto i tiranni, / meglio è morir / sul fior degl’anni».
Mai avrei immaginato che quelle parole provenissero da un coro della Caritea regina di Spagna di Mercadante, su testo di Paolo Pola, andata in scena nel 1826. Il coro, che nella versione originale presentava alcune varianti (gloria in luogo di Patria, «per lunghi affanni» anziché «sotto i tiranni», e il penultimo verso regolarmente settenario «è meglio di morir»), secondo la tradizione venne intonato dai fratelli Bandiera poco prima di essere giustiziati, e sopravvisse alla scomparsa dell’opera. Ancora: chi era Cafariello, che, ai tempi di don Bartolo, cantava «quell’aria portentosa»? E quanti, anche tra gli appassionati di lirica, sanno che il Ballo in maschera ebbe un precedente, quanto alla trama e a buona parte della struttura musicale, nel Reggente di Mercadante? e che Cavalleria Rusticana di Mascagni fu preceduta di trentotto giorni da una Mala Pasqua! di Gastaldon tratta dalla stessa novella di Verga? Oppure: quanti under 50 che non abbiano nozioni di liturgia pre-conciliare colgono appieno quello che Barnaba dice nella Gioconda di Ponchielli quando afferma che «è tempora domani, e si digiuna»?
Sono, queste, alcune delle curiosità che vengono soddisfatte dalla lettura del nuovo volume di Eduardo Rescigno. Dopo una prefazione linguistica di Tullio De Mauro, ed un’introduzione che sintetizza quattro secoli di storia dell’opera e della sua ricezione come fenomeno sociale, il libro si compone di 249 schede di opere italiane (comprendendo anche qualche titolo straniero che ebbe fortuna in traduzione) andate in scena nell’arco cronologico compreso tra L’Orfeo di Monteverdi e la Turandot di Puccini. Di ogni opera vengono proposti un sintetico riassunto della trama ed un numero variabile di citazioni dal libretto (per un totale di 550 citazioni), ognuna commentata e corredata di opportuni richiami intratestuali ed intertestuali.
Come lo stesso autore scrive nell’introduzione, la selezione delle opere e delle citazioni è stata fatta basandosi su criteri molto diversificati: accanto a testi scelti per la fortuna di cui godono anche al di fuori dell’ambito melodrammatico, se ne trovano altri scelti per l’importanza che intrinsecamente rivestono nell’ambito della storia del melodramma, oppure per curiosità generiche relative alla citazione o all’opera da cui è tratta. Di conseguenza, diversificati sono anche i commenti con cui Rescigno correda i testi, che spaziano da note contenutistiche ad attente osservazioni sul rapporto tra parola e musica.
Che cosa dunque bisogna attendersi da questo volume? Non un’omogenea storia dell’opera, né un prontuario per rintracciare notizie su titoli più o meno noti: scopi per i quali, del resto, esistono già testi più appropriati; nemmeno una storia del libretto d’opera, che pure emerge da una attenta lettura in ordine cronologico. La componente più interessante, per quanto, rispetto alle promesse del sottotitolo, possa risultare un po’ sacrificata, è sicuramente l’analisi della vita e della fortuna extra-teatrale che tanti passi operistici hanno avuto, superando le contingenze della rappresentazione e, spesso, l’oblio nel quale molte partiture sono cadute: come l’«Ombretta sdegnosa del Missipipì», di fogazzariana memoria, tratta da un’aria metateatrale della Pietra del paragone di Rossini (nella quale, per inciso, l’ombretta è davvero un’ombra, e per di più d’un uomo).
Un limite può apparire legato a questo volume: di essere stato pensato per una generazione, come quella cui appartiene l’autore, cresciuta ascoltando quotidianamente musica operistica nelle situazioni più disparate, e sentendosi augurare «ritorna vincitor!» anziché «in bocca al lupo» davanti alle prove della vita. Quanti, nelle nuove generazioni, conoscono i versi che i partigiani torinesi, per quanto in maniera approssimativa e probabilmente ignorandone la fonte, sapevano citare a memoria? Tuttavia, se ai più giovani non servirà per togliersi dubbi su certe frasi e melodie tante volte ascoltate senza conoscerne il vero significato o gli autori, il testo di Rescigno sarà comunque importante testimonianza, utile anche per chi non abbia specifico interesse per l’opera lirica, dell’influenza esercitata dal melodramma sulle abitudini linguistiche ed espressive degli italiani, e quindi del grande successo sociale che questo genere ha avuto.
Marco Leo
Recensione apparsa su l’Indice dei libri del mese, maggio 2008, numero 5
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