Mi
sono deciso ahimé troppo tardi a tenere davanti lo spartito durante i concerti,
nonostante avessi intuito da tempo che bisognava farlo.
È
paradossale ma in un'epoca in cui il repertorio era più ristretto e meno complesso
si suonava abitualmente con lo spartito e questa saggia usanza fu interrotta da
Liszt.
Oggi
la testa - piuttosto che ben fornita di musica - è sovraccaricata da una
abbondanza superflua, e rischia di affaticarsi pericolosamente. Che
infantilismo e che vanità, fonte di fatiche inutili, questa specie di gara di
prodezza della memoria, quando bisognerebbe soprattutto fare della buona musica
che tocchi l'ascoltatore! Mediocre routine in cui si crogiola una gloria
mendace e che il mio caro professore Heinrich Neuhaus tanto biasimava.
L'incessante
richiamo all'ordine dello spartito darebbe meno licenza a questa "libertà",
a questa "individualità" dell'interprete con cui si tiranneggia il
pubblico e si infesta la musica, e che non è nient'altro che mancanza di umiltà
e di rispetto per la musica stessa.
Certo
non è cosi facile essere assolutamente liberi quando si ha lo spartito davanti
e ci vuole molto tempo, lavoro e abitudine, per questo è meglio cominciare il
più presto possibile.
Ecco
un consiglio che darei volentieri ai giovani pianisti: adottare finalmente
questo metodo sano e naturale che permetterà loro di non annoiarci vita natural
durante con gli stessi programmi, e di crearsi loro stessi una vita musicale
più ricca e variata.
Sviatoslav
Richter
Programma di sala scritto per l'Unione Musicale di Torino, in occasione del concerto beethoveniano che si tenne mercoledì 5 ottobre 1994 all'Auditorium del Lingotto.
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