martedì 11 novembre 2008

Articolo per l'incontro "criticare la critica"

Sokolov, che fuoco non c'è un pianista più grande di lui
di Paolo Gallarati

Grande affluenza al Conservatorio per il concerto di Grigorij Sokolov, invitato dall'Unione Musicale. Un simile concorso di pubblico è perfettamente giustificato. Non saprei dire, infatti, chi, oggi, suoni il pianoforte meglio di lui, anche se, per riservatezza e una costituzionale avversità a produrre dischi, il suo nome è meno noto di altri. Prendendo come termine di paragone i grandi del passato, si potrebbe forse dire che Sokolov unisce la plasticità di Richter con la fantasia sonora di Michelangeli, in un connubio trascinante, anche per gli opposti che incarna: apparenza gelida e fuoco Ulteriore, unità di visione e capacità analitica, il che fa delle sue esecuzioni dei prodigi di coscienza storica e modernità del gusto.Le due Sonate di Mozart, KV. 280 e 332 sembravano nuove. Sokolov spiazza tutti perché non conosce schemi interpretativi dedotti a priori dalla tradizione. D suo Mozart è un arco che affonda una base nel mondo rococò e l'altra nel più tempestoso Sturm und Drang. Si sente di tutto: passaggi delicatissimi e altri che anticipano il rombo beethovenianeo la cantabilità più affettuosa e ritmi alacri e spiritosi; suoni di campanelle e di organo, note che sgocciolano leggere e altre dense come metallo fuso. Generalmente ritenute meno interessanti dei concerti, le Sonate di Mozart sembrano, cosi, inaspettatamente, contenere un intero mondo, passato e futuro. Non parliamo, quindi delle implicazioni che Sokolov ha saputo estrarre dall'op. 2 n. 2 e dall'op. 27 n. 1 di Beethoven, capolavori poco frequentati e rivelati dal pianista in una serata che non si può facilmente dimenticare.
[articolo del 26/10/08, La Stampa] valutazione: ***** (5 stelle su 5 max.)

Gergiev, troppa grazia
di Paolo Gallarati
Programma scintillante per l’inaugurazione del Lingotto: l’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, diretta da Valery Gergiev, ha spaziato nel repertorio colorito e pittoresco della musica russa, da cui le orchestre e i direttori di quel Paese raramente si distaccano. Se da un lato questo denota una certa limitatezza di orizzonti, dall’altro garantisce un’autenticità radicata nell’affinità elettiva che lega l’interprete al mondo in cui si è formato. San Pietroburgo ha due principali orchestre sinfoniche: la preziosissima Filarmonica e questa, del Mariinskij, un’orchestra d’opera dal carattere più battagliero e impetuoso, plasmato da Gergiev in vent’anni e più di stretta collaborazione.
Bene o male? Dipende dai gusti. Quanto a impeto, Gergiev non teme concorrenti: tutto è vitale, sino all’esplosione. Ne trae beneficio ciò che è affidato al ritmo: corse a perdifiato, suggestioni coreutiche di un repertorio che ha nel balletto uno dei propri centri irradianti, grande teatralità di effetti. Bastava ascoltare la meravigliosa ouverture di Ruslan e Ljudmila di Glinka, la Seconda sinfonia di Borodin o l’ouverture della Sposa dello Zar di Rimskij-Korsakov per apprezzare ciò che si è cercato di descrivere.
Questo, però, ha il rovescio della medaglia: raramente Gergiev riesce a conciliare impeto e finezza. La sua gamma dinamica va da mezzoforte a fortissimo; difficile sentire un vero piano e i passi leggeri sono risolti con fretta, quasi come fastidi da superare. Se ne ha avuta conferma nella Sagra della primavera, sentita come un brutale bombardamento e non come l'espressione magica e trasparente delle forze vitali che escono dal sonno della terra, quali Stravinskij rappresenta in un connubio unico di precisione e energia.

Articolo del 23/10/08, La Stampa valutazione: ***

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