giovedì 13 marzo 2008

L'Oratorio Jephte di Giacomo Carissimi

Con Giacomo Carissimi (1605-1674) l’oratorio latino, nato dallo sviluppo del mottetto dialogico di ambito controriformistico, raggiunge le più alte vette musicali e drammatiche. Si possono riconoscere influssi diversi, dalla cantata latina alla “historia” biblica, alla lamentazione e alla nascente opera. Gli oratori venivano eseguiti ogni venerdì di quaresima, per lo più su commissione di mecenati che facevano capo all’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso in Roma. I soggetti erano tratti dall’Antico Testamento e, pur non essendo direttamente riconducibili al periodo quaresimale, ne condividevano tuttavia lo spirito penitenziale attraverso la drammaticità della narrazione.
L’oratorio Jephte, considerato uno dei grandi capolavori del genere, rievoca la storia di questo condottiero degli Israeliti che, per propiziarsi la vittoria sugli Ammoniti, fa voto di immolare in sacrificio a Dio la prima persona che gli verrà incontro dopo la vittoria. Gli si presenta la sua unica figlia e la gioia del successo si trasforma repentinamente in tragedia e in un accorato lamento che accosta, in stridente contrasto, la vittoria di Israele con la morte della vergine: “In laetitia populi, in victoria Israel et gloria patris mei; ego sine filiis virgo, ego filia unigenita moriar et non vivam”. A questo lamento risponde, in chiusura, uno struggente coro a sei voci.

Il testo è tratto dal Libro dei Giudici, cap. XI, con aggiunte di fonte ignota, ma forse dello stesso Carissimi.
Dal punto di vista drammatico questo oratorio si divide in tre parti: la scena della battaglia, la festa per la vittoria, la tragica conclusione. A ciascuna di queste corrisponde un diverso carattere musicale, secondo una retorica largamente condivisa all’epoca: i cambi di tonalità da maggiore a minore e viceversa, l’uso di pause in funzione espressiva, il prolungarsi al canto di note dissonanti con il basso continuo, l’uso di intervalli aspri, per lo più diminuiti o tritoni.
Dal punto di vista della forma musicale lo Jephte è, come l’opera coeva, un susseguirsi di recitativi, cori e arie che rappresentano i personaggi del dramma: Historicus (il narratore), Jephte, Filia. A costoro si aggiunge l’Echo, la risposta delle montagne al lamento della vergine.
E’ un’opera profondamente unitaria in cui la recitazione gioca un ruolo decisivo; ed è proprio questa profonda compenetrazione tra musica e azione drammatica a renderlo un capolavoro.

Paolo Zaltron

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