Riproponiamo un contributo di Eggebrecht, nella pregevole traduzione di Maurizio Giani, tratto da Il Saggiatore Musicale, originariamente presentato nel corso di una delle quattro acclamatissime lezioni che il musicologo tenne nel Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, come docente ospite di Storia della musica, tra il 12 e il 16 ottobre 1998.
Cos’è il tempo? Non lo so. Però mi piacerebbe saperlo. Per questo me lo chiedo. Mi piacerebbe saperlo in rapporto alla musica, di cui mi sono sempre occupato e nella quale quel che chiamiamo ‘tempo’ ha una parte così importante. E mi piacerebbe saperlo anche in via di principio – non solo perché la sfera dei principii deve accompagnare ogni approccio alla musica, ma anche perché quando si diventa vecchi si avvicina la fine del tempo concesso alla nostra vita. Mi piacerebbe unire l’elemento di principio alla musica, ed entrambi alla vita. Ma so già che, nonostante le domande e le riflessioni, non saprò mai cosa sia il tempo.
Si dice: ‘non ho, ho poco, ho molto tempo’; oppure: ‘il tempo mi fugge’, oppure ancora: ‘mi prendo tempo’. Tutto questo, e altro del genere, quando vien detto, noi lo comprendiamo senz’altro. Ma cos’è quella cosa che non ho, o di cui posso dire che ne ho poca, o molta, che mi fugge e che mi posso prendere?
Credo che sia possibile trovare una risposta a domande del genere considerando anzitutto l’orologio. L’orologio è una macchina inventata dall’uomo per misurare il tempo, che si basa su movimento, unità di misura e numero. Qui l’unità di misura è determinata geofisicamente e viene misurata facendo riferimento al sole, alle stelle o alle maree, all’acqua o alla sabbia, a un sistema di rotelle con contrappesi, molle e pendolo, oppure all’elettricità, al quarzo e all’atomo. Tuttavia non è il funzionamento della macchina, né la storia di questo funzionamento, unito a un costante perfezionamento della misurazione, che ci interessano qui, ma solo il fatto che esiste una misurazione del tempo, l’orologio (Uhr) – parola che deriva da una unità di misura, cioè dal latino hora, ‘ora’.
Le affermazioni tipiche della vita quotidiana ricordate all’inizio – ad esempio ‘non ho tempo’, ‘mi prendo tempo’, ‘il tempo non conta’, ‘il tempo è denaro’ – sono affermazioni fatte in riferimento all’orologio, anche quando non ci pensiamo espressamente. Il tempo scorre in misura calcolata, e nei miei programmi è già occupato, cosicché io non ho tempo, oppure me lo prendo per far qualcosa, oppure mi è indifferente rispetto ai miei progetti, oppure è a mia disposizione e lo sfrutto. Questo tempo misurato in unità, che scorre e in merito al quale posso decidere se non ne ho o se me lo prendo e se e come sfruttarlo, lo chiamerò ‘tempo dell’orologio’ (Uhrzeit).1 E forse alla domanda su cosa sia il tempo si potrebbe rispondere così: il tempo è tempo dell’orologio, o per usare un’altra espressione, ‘tempo cronometrico’. Esso è sempre e ovunque lo stesso, solo che viene calcolato con sfasature nelle regioni corrispondenti ai diversi fusi orari del pianeta, a seconda della distanza di ciascuna regione dall’ora solare media a zero gradi di longitudine. La vita tutta, il pensiero e il normale disbrigo delle faccende quotidiane sono posti nel tempo, che l’orologio misura e mostra.
Ma cos’è il tempo al di fuori dell’orologio? Si può dire che ci sia? O c’è tempo solo perché c’è l’orologio che lo misura? Allora non ci sarebbe tempo = tempo, ma tempo = misura. Dunque il tempo è la misura di qualcosa per indicare la quale, allorché la misuriamo, non disponiamo di altro nome che ‘tempo’?
Continua su Il Saggiatore Musicale.
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