lunedì 1 marzo 2010

In viaggio verso Breughellandia


Marida Rizzuti, Sipario 2009.

Mentre si scorre il cartellone dell'Opera di Roma si è avvolti da una certa curiosità e attesa imbattendosi ne Le grand macabre di György Ligeti; la curiosità nasce dalla natura del lavoro del compositore ungherese, l'attesa è rivolta alla compagnia che lo porterà in scena: la Fura dels Baus. La prima rappresentazione avrà luogo il 18 giugno, seguita da quattro repliche il 19, il 20, il 21 e l'ultima sarà il 23 giugno. Il maestro concertatore e direttore sarà l'ungherese Zoltán Peskó.

Le grand macabre non è mai stata rappresentata al Teatro dell'Opera; l'ultima rappresentazione in Italia risale al 1997 al Teatro Comunale di Ferrara, nella prima versione. L'opera è stata oggetto di una revisione da parte del compositore nel 1996; intorno al 1965, mentre Ligeti approntava la conclusione di Aventures e Nouvelles Aventures, nasce l'idea di un lavoro teatrale di ampio respiro, anche grazie al suggerimento di Göran Gentele, direttore dell'Opera Reale di Stoccolma, disposto a sostenerlo con appoggi e mezzi necessari alla realizzazione. La creazione e la gestazione del testo è stata lunga e laboriosa: Ligeti interruppe la composizione per la prima volta nel 1972 in seguito alla tragica scomparsa dell'amico e mentore Gentele a causa di un incidente d'auto; nell'anno successivo ad Amburgo ebbe luogo la prima di Staatstheater di Mauricio Kagel e per il compositore transilvano apparve ancora più difficile portare a termine il progetto iniziale, perchè già con la sua Aventures e ora con l'"anti-opera"di Kagel la gestualità vocale e gli esperimenti di teatro musicale erano stati esplorati appieno. Ma Ligeti va oltre una simile impasse, decidendo di creare un 'anti–anti–opera' e dunque, se due negazioni affermano, un'opera. Come fonte di ispirazione per il suo libretto, realizzato da Michael Meschke, regista anche della prima rappresentazione a Stoccolma il 12 Febbraio 1978, sceglie una pièce in tre atti, scritta quarant'anni prima, La Ballade du grand macabre dello scrittore belga di lingua francese Michel de Ghelderode.
Creare un'opera basata sui quadri di Breughel e Bosch e sui testi di autori come Jarry e Ionesco, esponenti del Teatro dell'Assurdo, Kafka, e Boris Vian è stato l'intento di Ligeti, la cui realizzazione si è palesata attraverso la struttura e la forma del libretto, intriso di situazioni paradossali, e poi attraverso la musica, la cui tessitura – come afferma l'autore – «non dovrebbe essere sinfonica. La concezione musicale e drammatica dovrebbe essere lontana dai territori di Wagner, Strauss e Berg, più vicina alla Poppea di Monteverdi, al Falstaff di Verdi e al Barbiere di Rossini, ma in realtà ancora differente: in effetti non dovrebbe rifarsi ad alcuna tradizione, neppure all'avanguardia».
Le grand macabre è in due atti, suddivisi in quattro scene; l'azione non ha un tempo definito e il luogo è l'immaginaria Breughellandia. Il sipario si apre su due giovani amanti Amando e Amanda (nella primissima redazione del libretto i protagonisti si chiamavano Spermando e Clitoria) in cerca di un luogo in cui dar liberamente sfogo alle loro pulsioni erotico-amorose; il luogo ideale per il loro incontro amoroso è un sepolcro, dal quale appare l'angelo della morte Nekrotzar, giunto lì ad annunciare irrimediabilmente la fine del mondo allo scoccare della mezzanotte. Anche la seconda scena è dominata da una coppia, ma a differenza del sensuale duetto che connota musicalmente la prima, qui vi è una rappresentazione gotica di un caotico mélange fra un laboratorio, un osservatorio e una cucina; la coppia è formata da Astradamors e dalla moglie dominatrice Mescalina. Astradamors, dopo alcune grottesche attività erotiche, è inviato al telescopio per scrutare le stelle e qui intravede la catastrofe mentre la moglie ha una visione erotica in cui sogna Venere. A questo punto entra in scena Nekrotzar ad annunciare la catastrofe; la prima vittima sarà Mescalina, uccisa da un brutale abbraccio dell'angelo della morte. L'atto si conclude con l'uscita dei personaggi festanti: Nekrotzar per aver dato avvio all'imminente disastro e Astradamors per essere diventato finalmente padrone della propria casa.

Nella terza scena, preceduta da un preludio per campanelli, l'ambientazione cambia radicalmente, non si hanno più coppie, ma il principe Go–Go di 14 anni assediato da due fazioni di ministri, i Bianchi e i Neri; tutto è interrotto dall'irruente ingresso del capo della polizia segreta, la Gepopo. Il ruolo del comandate è affidato a un soprano di coloratura; anche in questo caso il compositore gioca con la tradizione, dal momento che tale personaggio da una parte riveste il ruolo del cattivo "alla Scarpia", dall'altra fa sfoggio delle sue potenzialità vocali in un vortice di incomprensibili gorgheggi e virtuosismi, snaturando così la gravità del messaggio che porta: un'incombente catastrofe grava su Breughellandia.

Ed ecco comparire Nekrotzar; per la parte orchestrale Ligeti ha ideato il finale della terza scena come un enorme collage in cui nei gravi ritorna il tema del finale della sinfonia Eroica di Beethoven, negli acuti ritmi di danza (ragtime, samba, flamenco) presentati in forma distorta, quasi irriconoscibili, su un tema di cha cha cha in tre tempi. Questo procedere vorticoso e tumultuoso ruota su Nekrotzar, che, al pari del catalogo di Leporello, richiama la distruzione del mondo passato, su una musica dai toni rococò e annuncia la fine del mondo. La quarta scena si apre laddove aveva avuto luogo l'inizio, il sepolcro degli amanti; qui i personaggi uno ad uno cercano se stessi morti e allora compaiono Astradamors, Mescalina, il principe Go – Go, i ministri e Nekrotzar e alla fine ricompaiono Amando e Amanda.

Ci si domanda: sono davvero morti e poi resuscitati? O forse è stato un grande inganno? Nekortzar si allontana lentamente fino a scomparire insieme al capo della Gepopo; l'opera termina con la Passacaglia – chiaramente legata al precedente collage – in cui tutti i personaggi intonano la morale «Non abbiate paura di morire, buona gente; nessuno sa quando sarà giunta la sua ora. E quando ciò avverrà, lasciate che sia. Addio, ma fino allora vivete lieti!», che occhieggia in tono parodico i finali moraleggianti di Don Giovanni, Falstaff e The Rake's Progress. Il compositore ha lasciato alcune indicazioni di regia sul modo in cui realizzare la passacaglia finale: «l'intera passacaglia è danzata con appropriata eleganza da tutti i partecipanti. La luce del sole cresce poco a poco e muta in una luce soprannaturale. Poi gradualmente inizia a nevicare, coprendo i personaggi in scena».

Non sempre Le grand macabre è stato apprezzato, le principali critiche mossegli sono state rivolte al testo così ostentatamente provocatorio e trasgressivo. Ma, travalicando simili osservazioni in odor di pruderie, si può apprezzare una drammaturgia grottesca e finemente infarcita di citazioni dalla storia del teatro del Novecento e dalla storia dell'arte, associata a una musica poliedrica; sapientemente intrecciate rendono Le grand macambre un cammeo nella storia dell'opera del secondo Novecento.

Appare quanto mai indovinata la scelta di affidare la regia dell'opera a Alex Ollé e alla Fura dels Baus, noti per le loro ricerche sperimentali in campo teatrale; in Italia di recente hanno avviato una fruttuosa collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino dove sono impegnati nell'allestimento del Ring des Nibelungen di Richard Wagner; nel maggio 2009 si potrà assistere all'ultima giornata (Die Götterdämmerung).

Sipario, numero speciale cartellone musicale, 2009,
Marida Rizzuti

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