venerdì 28 novembre 2008

In memoriam di Massimo Mila

Il 2 dicembre presso il Conservatorio di Torino
si terrà una giornata di studi in onore di Massimo Mila.

A partire dalle 15, in una tavola rotonda Roberto Aruga, Alberto Cavagnon, Giorgio Pestelli, Andrea Casalegno e Enzo Restagno discuteranno sui diversi interessi che hanno connotato la figura di Massimo Mila: musica, montagna, antifascismo, letteratura e pittura.

martedì 25 novembre 2008

Harold en Italie


Nel corso del prossimo incontro di seminario (Giovedì 27 novembre) proporremo l'ascolto guidato di Harold en Italie, sinfonia in 4 parti con viola principale di Hector Berlioz. Proveremo a descrivere le sue caratteristiche principali, le sue peculiarità e il suo rapporto con Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, di Lord Byron. L'invito è rivolto, come sempre, a tutti i curiosi ma in particolare agli studenti del corso Tre sinfonie atipiche: "Pastorale", "Fantastica", "Renana"

Alla corte di Britten

Ian Bostridge

"O dear, o dear, how I sometimes wish I were respectable & dead, & that people wouldn’t get so cross.” Benjamin Britten is now dead (he would have been ninety-five this month), and, if the ubiquity of his music is a measure, highly respected if not quite respectable. Go to the Britten–Pears Foundation website and a calendar of performances shows several live performances of Britten works, large and small, every day of the year, all over the world. Most of his works have never been out of the recorded catalogue. Of the generation of classical composers who came to maturity in the wake of the Second World War, he is the flagship, the emblem, the victor. Yet, and in the face of music which is heartfelt, embedded in the great tradition, largely consonant, while at the same time avoiding kitsch or ironic reworking – in other words music with its own confident voice – he remains curiously unloved. Suspected for his supposedly pederastic leanings – an issue which John Bridcut has brilliantly reconfigured in his book and television documentary Britten’s Children, recognizing the desire not to abuse but to remain a child which lay at the heart of Britten’s imagination – he is also presented as a twisted figure, with his “corpses” (friends and associates who lost favour) and his fawning court.
L'articolo continua su entertainment.timesonline.co.uk

lunedì 17 novembre 2008

Il Trio in Re Maggiore WoO Anhang 3 di Beethoven interpretato dal Bridge Trio

Il 19 Novembre 2008 alle 17 il Bridge Trio composto dal violoncellista Giulio Glavina, il violinista Roberto Mazzola e la pianista Mariangela Marcone si esibirà al Conservatorio di Alessandria con in programma il Trio WoO (Werk ohne Opuszahl, lavori senza numero d'opus) Anhang 3.
Presenta Armando Orlandi.

Il Trio in Re maggiore per violino, violoncello e pianoforte è mancante di 2 pagine da battuta 63 a battuta 96 nel primo tempo, sino al 1910 si pensò fosse di Mozart (Köchel, Anhang 52a).
In seguito attribuito da Th. Wyzewa e G. de Saint-Foix a Beethoven, assieme ad altri quattro pezzi: (WoO, Anhang 6, rondò per pianoforte ed Anhang 8, tre pezzi per pianoforte a quattro mani) nell'anno 1926.
Data presunta di composizione: 1788 – 1791.

Aggiornamento 1: il video dell'esecuzione: youtube.com

Il Trio, studiato nel 2005 dal Centro di ricerche beethoveniane unheardbeethoven, è stato corredato delle 33 battute mancanti da Albert Willem Holbergen, musicologo olandese esperto di ricostruzioni filologiche.
Leggi anche il post di luglio.
 
Aggiornamento 2: nel maggio 2010 il Trio in Re maggiore ha avuto anche una prima esecuzione americana: questa volta il completamento delle battute mancanti è di Robert McConnell.
Leggi sul Ny Times

giovedì 13 novembre 2008

Libertà e oppressione ne Il Prigioniero di Luigi Dallapiccola

Dallapiccola, disciplina dodecafonica
«Spera, fratello, spera ardentemente; devi sperare sino a spasimarne; devi sperare ad ogni ora del giorno; vivere devi per poter sperare.» Si può individuare in questa frase, pronunciata dal Carceriere nella scena II e rivolta al Prigioniero, il nucleo centrale de Il Prigioniero, opera in un prologo e un atto di Luigi Dallapiccola; anche il libretto è del compositore che si è ispirato al racconto La Torture par l’espérance di Villiers de l’Isle–Adam e al romanzo La Légende de Ulenspiegel et de Lamne Goedzak di Charles de Coster.
Libertà e speranza
Il soggetto dell’opera è semplice: l’ambientazione è la Spagna del XVI secolo e vi è un prigioniero in attesa dell’esecuzione da parte dell’Inquisizione. Nel prologo la Madre è afflitta da un incubo ogni notte, le si materializza una figura spettrale che muove verso di lei, si concretano le fiamme dei roghi e i contorni si precisano: è Filippo II, il cui volto successivamente si trasforma nella Morte.

L’atto unico si apre sulla cella nella prigione di Saragozza, il Prigioniero racconta alla Madre di un “azione” che «mi diede ancor fiducia nella vita»: il Carceriere nell’atto di torturarlo una sera lo chiamò «fratello». Il Prigioniero confessa alla Madre che questa sola parola gli ha permesso di iniziare nuovamente a sperare e a pregare; la Madre resta comunque rattristata perché sa quale sorte attende il figlio. Entra il Carceriere raccontando della rivolta che infiamma nelle Fiandre e della marcia vittoriosa dell’Esercito dei Pezzenti; la Campana di Gand tornerà a suonare e presto ci sarà la caduta di Filippo e la fine dell’Inquisizione per mano di Carlo V. Il Carceriere fantastica scenari di libertà (nell’Aria in tre strofe Sull’Oceano) e ciò rende ancora più speranzoso il Prigioniero, grato verso il Carceriere per avergli ridato la possibilità di sperare. Il Carceriere esce lasciando la porta della cella socchiusa, quasi un invito a evadere; il Prigioniero si avvia attraverso un lungo corridoio labirintico e nero verso forse la libertà, non si accorge di incontrare un «Fra Redemptor» con in mano strumenti di tortura, né due monaci lungo il cammino. Giunge all’aria aperta e il suono di una campana sembra preannunciargli la libertà.

Il Prigioniero è in un grande giardino, assapora gli odori, la luce della libertà; (scena IV) ad un tratto si sente costretto in un possente abbraccio, si ode la voce del Carceriere: «perché ci volevi abbandonare?», così il Prigioniero di colpo comprende tutto: il Grande Inquisitore prima della morte lo ha sottoposto ad un ultima atroce tortura: quella di sperare. Egli oramai non ha più forze e si lascia condurre verso le fiamme che si vedono sullo sfondo.

Libertà e oppressione
Risalgono all’estate del 1939 i primi propositi di creare un’azione scenica suggeriti dalla lettura del racconto La torture par l’espérance, uno dei Contes cruels del conte Villiers de l’Isle Adam; gli eventi storici precipitarono e il compositore maturò l’idea di un lavoro strettamente connesso ai problemi attuali. Egli stesso scrive «mi appariva sempre più chiara la necessità di scrivere un’opera che, nonostante la sua ambientazione storica, potesse essere di toccante attualità; un’opera che trattasse la tragedia del nostro tempo, la tragedia della persecuzione, sentita e sofferta da milioni e decine di milioni di uomini. L’opera sarebbe stata intitolata Il Prigioniero, semplicemente.» La composizione durò tra il 1943 e il 1948, terminata in partitura il 3 maggio 1948, l’opera venne eseguita per la prima volta in forma di concerto alla Radio di Torino il 1° dicembre 1949 e in forma scenica al Maggio Musicale Fiorentino il 20 maggio 1950.
Il Prigioniero non si ricorda unicamente perché è la prima opera teatrale di Dallapiccola o per il suo soggetto di stretta attualità storica e politica, anche perché al compositore interessava di più trasmettere un messaggio di protesta (universale) contro l’oppressione e la tirannia; altre sono le particolarità dell’opera, quali la disciplina dodecafonica basata non soltanto sulle nervature delle serie, costruite in modo da consentire la massima ampiezza della gamma espressiva, fino a inglobare le tensioni melodiche del canto come Sergio Sablich acutamente rileva.
Il tempo è scandito da sezioni narrative collegate fra loro da interludi orchestrali: il prologo è incentrato sul racconto da parte della Madre degli incubi e delle visioni notturne sulla sorte del figlio; l’atto unico ruota intorno alla frase del Carceriere. Le parole del Carceriere stabiliscono una condivisione di dolore con il Prigioniero, sottolineate anche dalla linea musicale che riprende il profilo intervallare della linea della Madre nel Prologo, eppure è solo apparente in quanto la serie è già pervasa da un senso di morte che si paleserà nella scena IV con la comparsa del Grande Inquisitore. Nell’opera si alternano momenti solistici e corali, lirici e drammatici, l’animo del protagonista subisce una metamorfosi: dall’afflizione alla speranza e dalla speranza alla disillusione. Il fulcro di tale movimento è la scena II con i racconti del Carceriere intrisi di subdola speranza in quanto è egli stesso ad affondare l’ultimo barlume di forza del Prigioniero a cui rimane solo «La Libertà?», questa volta soltanto espressa con tono nettamente interrogativo, come riporta la didascalia del libretto.
Si è parlato di disciplina dodecafonica non a caso in quanto alcune parole, quali «fratello», «speranza», «libertà» sono fortemente connotate e dal ruolo rivestito nell’economia dell’atto e soprattutto dalle configurazioni seriali principali (la serie del Prigioniero e della Madre); Il Prigioniero dunque è possibile definirla come l’opera del contrasto, dell’opposizione in quanto la parola Fratello è intrisa di (illusoria) speranza e comunione di sentimenti, cela invece la prosecuzione della tortura attraverso l’inganno il tutto orientato verso un cammino di morte.
Il Prigioniero e il Carceriere-Grande Inquisitore appaiono in fondo assimilati da comune sorte: esperire la privazione della libertà, che può colpire oppressi e oppressori.

Marida Rizzuti
Liberamente tratto da Sipario, n.700-701, novembre-dicembre 2007, anno LXII, pp. 72-3

martedì 11 novembre 2008

Articolo per l'incontro "criticare la critica"

Sokolov, che fuoco non c'è un pianista più grande di lui
di Paolo Gallarati

Grande affluenza al Conservatorio per il concerto di Grigorij Sokolov, invitato dall'Unione Musicale. Un simile concorso di pubblico è perfettamente giustificato. Non saprei dire, infatti, chi, oggi, suoni il pianoforte meglio di lui, anche se, per riservatezza e una costituzionale avversità a produrre dischi, il suo nome è meno noto di altri. Prendendo come termine di paragone i grandi del passato, si potrebbe forse dire che Sokolov unisce la plasticità di Richter con la fantasia sonora di Michelangeli, in un connubio trascinante, anche per gli opposti che incarna: apparenza gelida e fuoco Ulteriore, unità di visione e capacità analitica, il che fa delle sue esecuzioni dei prodigi di coscienza storica e modernità del gusto.Le due Sonate di Mozart, KV. 280 e 332 sembravano nuove. Sokolov spiazza tutti perché non conosce schemi interpretativi dedotti a priori dalla tradizione. D suo Mozart è un arco che affonda una base nel mondo rococò e l'altra nel più tempestoso Sturm und Drang. Si sente di tutto: passaggi delicatissimi e altri che anticipano il rombo beethovenianeo la cantabilità più affettuosa e ritmi alacri e spiritosi; suoni di campanelle e di organo, note che sgocciolano leggere e altre dense come metallo fuso. Generalmente ritenute meno interessanti dei concerti, le Sonate di Mozart sembrano, cosi, inaspettatamente, contenere un intero mondo, passato e futuro. Non parliamo, quindi delle implicazioni che Sokolov ha saputo estrarre dall'op. 2 n. 2 e dall'op. 27 n. 1 di Beethoven, capolavori poco frequentati e rivelati dal pianista in una serata che non si può facilmente dimenticare.
[articolo del 26/10/08, La Stampa] valutazione: ***** (5 stelle su 5 max.)

Gergiev, troppa grazia
di Paolo Gallarati
Programma scintillante per l’inaugurazione del Lingotto: l’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, diretta da Valery Gergiev, ha spaziato nel repertorio colorito e pittoresco della musica russa, da cui le orchestre e i direttori di quel Paese raramente si distaccano. Se da un lato questo denota una certa limitatezza di orizzonti, dall’altro garantisce un’autenticità radicata nell’affinità elettiva che lega l’interprete al mondo in cui si è formato. San Pietroburgo ha due principali orchestre sinfoniche: la preziosissima Filarmonica e questa, del Mariinskij, un’orchestra d’opera dal carattere più battagliero e impetuoso, plasmato da Gergiev in vent’anni e più di stretta collaborazione.
Bene o male? Dipende dai gusti. Quanto a impeto, Gergiev non teme concorrenti: tutto è vitale, sino all’esplosione. Ne trae beneficio ciò che è affidato al ritmo: corse a perdifiato, suggestioni coreutiche di un repertorio che ha nel balletto uno dei propri centri irradianti, grande teatralità di effetti. Bastava ascoltare la meravigliosa ouverture di Ruslan e Ljudmila di Glinka, la Seconda sinfonia di Borodin o l’ouverture della Sposa dello Zar di Rimskij-Korsakov per apprezzare ciò che si è cercato di descrivere.
Questo, però, ha il rovescio della medaglia: raramente Gergiev riesce a conciliare impeto e finezza. La sua gamma dinamica va da mezzoforte a fortissimo; difficile sentire un vero piano e i passi leggeri sono risolti con fretta, quasi come fastidi da superare. Se ne ha avuta conferma nella Sagra della primavera, sentita come un brutale bombardamento e non come l'espressione magica e trasparente delle forze vitali che escono dal sonno della terra, quali Stravinskij rappresenta in un connubio unico di precisione e energia.

Articolo del 23/10/08, La Stampa valutazione: ***

Regio: APERTO PER PROTESTA

Segnaliamo un importante avviso di cui vogliamo dar diffusione:

Giovedì 13 Novembre il REGIO SARÀ APERTO PER PROTESTA.

Un’intera giornata a porte aperte, per sensibilizzare la cittadinanza contro i previsti tagli governativi alle fondazioni lirico-sinfoniche.

Nell’arco della giornata, sono previste prove d’Orchestra, prove del Coro, montaggio di allestimenti, visite guidate, prove di scena e ascolti musicali, attività per le scuole e preparazioni tecniche. L’ingresso al teatro è libero a tutti dalle ore 10 alle ore 22.30.
I lavoratori del Teatro Regio di Torino hanno deciso di aprire le porte del Teatro per accogliere la cittadinanza in una giornata di prove, una giornata in cui la protesta contro i tagli annunciati dal governo si trasformerà in un giorno straordinario in cui tutti potranno scoprire da vicino come si svolge il lavoro quotidiano al Regio, tra prove d’orchestra e prove del Coro, montaggio di allestimenti e visite guidate, prove di scena e audizioni musicali, attività per le scuole e preparazioni tecniche.
Culmine della manifestazione il concerto alle ore 21 diretto dal M° Gianandrea Noseda, che ha accettato di essere vicino ai lavoratori in questo delicatissimo momento, durante il quale verranno eseguiti alcuni brani di Giuseppe Verdi, imperituro simbolo di libertà e ingegno.
L’idea del “Teatro aperto per protesta” è nata dalle Rappresentanze Sindacali Unitarie del Regio di Torino (con l’appoggio delle Organizzazioni sindacali territoriali) e ha ottenuto immediatamente la piena disponibilità dei lavoratori nei confronti di una modalità totalmente nuova per coinvolgere e rendere partecipe tutta la città dei gravissimi rischi che sta correndo la cultura.
La musica, in particolare, viene considerata dal governo un bene superfluo e non un ingrediente necessario alla qualità della vita dimenticando, per comodità, quanto l’opera sia elemento fondante della cultura italiana oltre che un valore produttivo di prestigio. Se l’italiano non è una lingua morta al di fuori dei confini nazionali è perché in tutti i teatri del mondo rimane la lingua imprescindibile e principale, se le istituzioni musicali italiane vengono acclamate nelle tournée all’estero è perché la nostra cifra artistica rimane un punto di riferimento riconosciuto da tutti, mentre chi dovrebbe difendere e diffondere il made in Italy sembra disprezzarlo, riducendolo a un capriccio per pochi.


Vi invitiamo Giovedì 13 novembre al Teatro Regio di Torino per incontrarci e parlarci direttamente, per condividere esperienze e opinioni, perché la morte dei teatri d’opera non vuol dire solo meno posti di lavoro in una città sempre più segnata dalle chiusure, ma vuol dire la cancellazione di un bene collettivo e che, quindi, è sia nostro che vostro.

La scaletta della giornata:

- dalle ore 10 alle ore 13.30 Prove d’orchestra in sala Regia con il M.° Noseda
- dalle ore 15 alle ore 18 Prove del Coro in sala Regia con il M.° Gabbiani e il M.° Noseda
- dalle ore 19 alle ore 20.30 Gruppi da camera del Teatro Regio accoglieranno i visitatori facendo ascoltare alcuni brani musicali
- ore 21 Concerto dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio diretto da Gianandrea Noseda

I lavoratori del Teatro Regio di Torino

domenica 9 novembre 2008

Galateo musicale & dress code

[...] Vorrei sommessamente, e in ispecie dopo un giro estivo in vari Festivals, suggerire le minime regole di galateo per il mondo musicale. Quasi trent'anni di trottoir («V'è la risorsa, poi, del mestiere», dice Figaro) mi autorizzano.
[...]

2 - Alla fine di ogni recita operistica è invalsa l'abitudine, come si dice in gergo, di «fare quadro». Il sipario si rialza su tutti gli interpreti dell'ultima scena, resuscitati gli eventuali morti. Poi, tutti, compresi gli assenti all'ultima scena, al secondo levarsi della tela si presentano uno alla volta, in ordine inverso rispetto all'importanza del ruolo. Le masse restano in fondo. Così tutti i cantanti applaudono, a uno a uno, l'orchestra ed il coro; e ne sono applauditi. Il direttore d'orchestra, di solito costretto alla gentil finzione d' esser trascinato, recalcitrante, dalla Prima Donna, applaude l'orchestra, il coro e i singoli cantanti. Regista, bozzettista, figurinista, con eventuali assistenti, datore luci (oggi definito «light designer» [...]), maestro del coro, ci sottopongono anch'essi all'estenuante messinscena. E' ridicolo oltre che falso, ben noti essendo i sentimenti reciproci da ciascuno nutriti. Gli applausi sono di pertinenza solo del pubblico. Men che meno il direttore applauda dal podio un cantante dopo una Romanza: appare ruffiano o autoincensatore, in quanto responsabile supremo. Peggio: non invii baci al pubblico, consentiti solo ai cantanti in circostanze eccezionali. E' tradizione che, rarissimamente, l'orchestra, invitata dal direttore ad alzarsi in piedi per condividere il successo, si rifiuti, con ciò rendendo omaggio al capo ed eventualmente battendo gli strumentisti d'arco questo sul leggìo. Proprio l'eccezionalità di siffatta manifestazione di rispetto deve impedire l'applauso orchestrale come inflazionata abitudine. Del pari, inversamente: se i sorrisi a sessantaquattro denti dei maestri concertatori fanno piangere, non è augurale taluna maschera facciale da «lutto strettissimo» (Martoglio) indossata a inizio di stagione e mai più deposta.

3 - Si ribadisce ad nauseam che il pubblico ha il diritto di dichiarare, anche col fischio, di non aver gradito la prestazione degli interpreti. Ma ha il dovere di rispettarli nello sforzo comunque terribile che essi compiono. Intonare, pronunciare, fraseggiare, respirare, deglutire, recitare, sotto i riflettori, spesso non riuscendo essi ad ascoltarsi a vicenda né ad ascoltare l' orchestra: situazione da acustica della Scala. I fischi durante la recita sono quanto di meno sportivo, di più sleale possa concepirsi: giacché, vogliano o non vogliano, hanno il risultato obiettivo d' in flui re sulla prestazione stessa, peggiorandone il risultato.

4 - Il buon direttore d'orchestra non consente che il cantante esegua bis, pur se sollecitato da «dolce violenza» da parte del pubblico. Gli specialisti in «dolce violenza» sono isterici o famigliari, in senso lato, dell'interprete stesso. Ma il buon direttore deve «sentire» la sala. Un capo-claque che si rispetti, e all'epoca di Berlioz anche la jeteuse de bouquets, deve conoscere la partitura quanto il direttore: è valido anche il reciproco. Non soffochi, il direttore, l'applauso spontaneamente sorto dopo la Cavatina dando rabbioso attacco all'orchestra per il collegamento colla Cabaletta: ma non resti imbambolato o servile ad attendere applausi dopo la Cavatina che in diversa circostanza non giungeranno.

5 - Il tema dell'abbigliamento e, più in generale, dell'aspetto esterno, ch'è un messaggio, degl'interpreti, in particolare dei direttori d'orchestra, basterebbe per un libro. Qui lo sfioriamo appena. Il senso dell' opportunità, che le nostre nonne chiamavano dell'à propos, della dignità (son maintien) essendosi del tutto perduto, non esistono più punti di riferimento obbiettivamente validi. A un'esecuzione della solennissima e funerea Messa in Fa minore di Bruckner ci toccò vedere le soliste di canto indossanti gonne con spacco fino all'inguine, trucco, con rispetto parlando, da travestiti di circonvallazione esterna; e da queste partiva un olezzo marzolino di deodorante ascellare che, invadendo la sala, induceva all'ammirazione per il celebre maestro a pochi centimetri eroicamente sul ponte di comando. Naturalmente del direttore cale assai di più. Un tempo, il frac era un abito di società; oggi dovrebb'esserlo ancora per rispetto alla musica e all'occasione festiva («festa» ha un'etimologia religiosa, come tutti sanno) del concerto o della rappresentazione. Lo portano come un costume teatrale, da pagliaccio. [...] La rinuncia al frac per certi melancolici completi di «Tasmania» a tre quarti, o sette ottavi (nulla a che vedere col Valzer della Patetica, ch'è in cinque quarti), è rimedio peggiore del male.

I capelli siano l'ultimo punto dedicato ai direttori d'orchestra. Per molti di loro sono strumento professionale: ciò basta a qualificarli come Dulcamara. E' incredibile il numero di maestri che, della più varia origine sociale, si tagliano i capelli come i protagonisti dei serials americani, laccati e permanentati, o come gli armanizzati «coatti» dei ghetti-periferia. Con ciò ribadiscono il messaggio: «rappresento in luogo di essere». [...]

Paolo Isotta

Corriere della Sera, p. 31, 29 agosto 2001

Leggi anche: Lissner e il dress code (Opera Chic)

venerdì 7 novembre 2008

Ritratto di musicologo in video

Christoph Wolff si presenta:

come musicologo e storico della musica, ricordando l'importanza di andare alle fonti, andando alla ricerca di materiali per provare a porsi domande cui sembra importante dare risposte.

Il Professor Wolff racconta come ebbero inizio le sue ricerche su Bach da studente, in preparazione della tesi: le fonti su cui lavorò sono il catalogo di Carl Philipp Emanuel, successore di Georg Philipp Telemann ad Amburgo, morto nel 1789, la cui vedova ne aveva pubblicato il catalogo della libreria musicale e della collezione di ritratti.

Il figlio di Carl Philipp Emanuel vendette tutto ad Abraham Mendelssohn (padre di Felix Mendelssohn) il quale donò a suo avolta l'inestimabile tesoro alla Sing-Akademie di Berlino: questo è sparito durante la Seconda guerra mondiale.

Si può ascoltare come va a finire la vicenda dalla viva voce di Wolff sul sito athome.harvard.edu in una lezione in 9 puntate della durata complessiva di poco più di un'ora.

Benedetta Saglietti

giovedì 6 novembre 2008

La lingua delle origini. Poeti e filosofi

Il Convegno è diretto soprattutto ai dottori di ricerca e ai dottorandi della Scuola di Culture Classiche e Moderne e ai giovani studiosi interessati. Le rielaborazioni in forma di saggio degli interventi più interessanti dei giovani studiosi potranno essere accolte negli atti.

Giovedì 6 novembre 2008 ore 9,30
Archivio di Stato
Presiede e introduce Giuliana Ferreccio

ore 9,45
Franca D’Agostini (Parma)
Divergenze filosofiche e resistenze linguistiche

ore 10,15
Anna Battaglia (Torino)
Da Rousseau a St. John Perse: la lingua “sans graphie où court l’antique phrase humaine”

Ore 10,45-11: pausa

ore 11
Giuliana Ferreccio (Torino)
“Do not move / Let the wind speak”: Pound e il Paradiso

ore 11,30
Marina Giaveri (Torino)
Paul Valéry: “aux sources du poème”

ore 12: discussione

Giovedì 6 novembre ore 15
Sala Lauree
Presiede Gianni Vattimo

ore 15,30
Marlène Zarader (Montpellier)
L’origine entre mythe et critique

ore 16
Peter Gossens (Bochum)
Der Atem des Übersetzers. Zu Paul Celans performativer Poetik

ore 16,30-16,45: pausa

ore 16,45
Giulio Schiavoni (Vercelli)
La lingua del Paradiso e le lingue degli uomini nella riflessione di Walter Benjamin

ore 17,15
Chiara Sandrin (Torino)
La parola non pronunciata. Heidegger e Trakl

Ore 17,45: discussione

Venerdì 7 novembre ore 9.30
Sala lauree
Presiede Chiara Sandrin

ore 9.30
Roberto Gilodi (Torino)
Origine e antropologia letteraria. Herder e Moritz.

ore 10
Carla Vaglio Marengo (Torino)
Joyce: il gesto

ore 10,30-10,45: pausa

ore 10,45
Davide Racca (Torino)
La pittura primitiva di Monet e Cézanne: un
confronto

ore 11,15
Fedora Giordano (Torino)
Lingua delle origini e poesia nativa americana: Simon Ortiz

ore 11,45: discussione


Sarà disponibile la traduzione degli interventi in lingua straniera

Sulle orme di Mozart

Mozart trascorse buona parte della sua breve vita in viaggio: dei suoi 35 anni, 10 li spese viaggiando. Il sito European Mozart Ways propone un modo divertente per seguire le sue orme lungo tutta Europa. La biografia del compositore austriaco è corredata di numerose mappe interattive, cronologie scorrevoli (non sempre facili da scorrere!) e approfondimenti sulle città nelle quali sostò. L'obiettivo del sito è di proporvi una vacanza musicale: qui potrete trovare i contatti di diverse agenzie turistiche in tutta Europa che aderiscono al programma European Mozart Ways e che propongono tour attraverso i luoghi mozartiani. Se decideste di visitare una di queste città, recandovi sulla pagina Calendario potrete trovare tutti i concerti il cui programma prevede brani di Mozart nella data e nel luogo da voi visitati.

L. P.
 
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