martedì 30 settembre 2008

La Medea di Cherubini al Regio

Domenica 5 Ottobre alle ore 19 il Teatro Regio inaugura la Stagione d’Opera 2008-2009 con la MEDEA di Luigi Cherubini, per la prima volta in scena a Torino.

Sul podio dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio il torinese Evelino Pidò. Il nuovo allestimento è firmato da Hugo de Ana nella regia, scene e costumi.

Il cast comprende nomi di primo piano della lirica internazionale: Anna Caterina Antonacci nel ruolo del titolo, Giuseppe Filianoti (Giasone), Cinzia Forte (Glauce), Sara Mingardo (Neris) e Giovanni Battista Parodi (Creonte). Istruisce il Coro il suo nuovo direttore, Roberto Gabbiani.

Grazie alla collaborazione con il Centro di Produzione Rai di Torino e il Museo Nazionale del Cinema, sarà possibile effettuare le riprese e la proiezione in diretta e in alta definizione, al cinema Massimo di Torino, della “prima” dell’opera.

L’inaugurazione della stagione è realizzata anche quest’anno grazie alla collaborazione con il Gruppo Fondiaria - SAI

Pazzi di Schumann

Peters Uwe: Robert Schumann e i tredici giorni prima del manicomio

Milano, Spirali edizioni 2007, 304 pp., € 30
Curioso questo lavoro di Uwe Henrick Peters, neuropsichiatria tedesco che prende in esame con occhio clinico la vicenda dell’internamento di Schumann. Ci sono dei precedenti: il biografo beethoveniano Maynard Solomon è psicoanalista e John O'Shea in Musica e medicina (EdT 1991) ha affrontato tematiche simili. Questo libro vuole invece mettere in discussione la presunta malattia mentale di Schumann. Peters smantella quella che è sempre passata per un’incontestabile verità chiamando a testimoniare i contemporanei, esaminando la stampa dell’epoca, soppesando ad una ad una le parole della moglie Clara e le annotazioni del diario steso dai coniugi. L’elemento più convincente, e allo stesso tempo più inquietante perché fa crollare la base su cui poggia la favola romantica del musicista folle, è la totale assenza di documentazione - confermata da Clara - del “fattaccio”, cioè il fallito annegamento nel Reno la notte di Carnevale del 27 febbraio 1857. Se Schumann non tentò il suicidio, per quale ragione venne dunque confinato nel manicomio di Endenich? Questa è la domanda alla quale tutto il resto dell’opera cerca di rispondere. L’autore unendo alla competenza medica l’acribia nell’esposizione dei dati riesce, con un procedere da detective, a tener avvinti fino all’ultima pagina. La narrazione delinea la storia della difficile convivenza di due individui eccezionali, lontana dalla banalità della leggenda e piena di chiaroscuri. Non mancano tuttavia a volte tratti morbosi… insomma: tutto quello che avete voluto sapere di Schumann e non avete mai osato chiedere.
Benedetta Saglietti

Giornale della Musica, n. 250 luglio-agosto 2008, p. 25

La biblioteca di Babele

Dopo lunghi conflitti legali, l'IMSP (International Music Score Library Project) ha riaperto le sue pagine al pubblico. IMSP è una biblioteca musicale virtuale, inserita nel progetto Wikipedia.
Tutti i brani qui pubblicati sono di pubblico dominio: questa biblioteca non conosce orari di chiusura né giorni festivi, e sopratutto consente di salvare gli spartiti e le partiture nel proprio pc per il proprio uso privato
I file sono in formato pdf e hanno, in generale, una buona qualità: si tratta di musica a stampa scannerizzata. La maggior parte dei brani sono proposti in edizioni di fine '800 o inizi '900; improbabile trovare qui un'edizione filologica. La peculiarità di questa libreria è che qualunque utente, a conoscenza delle leggi internazionali del diritto d'autore, può contribuire pubblicando brani musicali. Per questo motivo è possibile trovare pezzi rari o edizioni insolite. Buona ricerca!

LP

sabato 27 settembre 2008

Ballets Russes, cent'anni d'inquietudine

Sergio Trombetta,
TORINO

E’ tutta colpa della morte improvvisa del granduca Vladimir Aleksandrovic Romanov. Aveva autorizzato l’uso di scene e costumi del Teatro Mariinskij di Pietroburgo per organizzare una stagione di opere russe a Parigi nel 1909. L’anno prima, i parigini avevano scoperto, in delirio, il Boris Godunov di Musorgskij. Ma, morto il granduca, niente appoggi a Corte. E così Sergej Djagilev, grande intellettuale prima che impresario, ripiegò sul balletto.

Da una parte, meglio così. Altrimenti non avrebbero mai visto la luce i suoi Ballets Russes che debuttano al Teatro dello Châtelet nel maggio del 1909, cent’anni fra poco. E non sarebbero mai nati Les sylphides, Schéhérazade, Petrushka, L’après midi d’un faune, La sagra della primavera e tantissimo altro. E non sarebbe mai comparso sulla scena europea un fenomeno artistico durato dal 1909 al ‘29 (l’anno della morte di Djagilev) e destinato a imprimere una svolta fondamentale non soltanto alla danza, ma alla musica e all’arte. Un’avventura che coinvolse i più grandi musicisti dell’epoca. Per dire: Stravinsky, Ravel, Debussy, Prokof’ev, De Falla, Richard Strauss, Satie. Che sollecitò il talento dei massimi pittori. Per esempio: Picasso, Gonciarova, Larionov, Rouault, Bakst, Benois, Naum Gabo. Che permise di sviluppare il proprio estro coreografico a talenti come Fokin, Nizinskij, Massine, Bronislava Nizhinska, George Balanchine. Per non parlare di danzatori-mito come Anna Pavlova, Tamara Karsavina, ancora Nizinskij, Serge Lifar, Olga Spesivzeva.

Perché questa è la grande novità. Non più balletti che puntano a mettere in risalto il virtuosismo degli interpreti con brutte musiche e scenografie accademiche. Ma spettacoli dove la coreografia sta sullo stesso piano dell’aspetto artistico e musicale. Insomma, l’opera d’arte totale wagneriana servita in salsa ballerina. Questa novità scatena l’entusiasmo dei più brillanti intellettuali parigini, Cocteau, Proust, Reynaldo Hahn, Daudet, Misia Sert e Coco Chanel. Per non parlare, a Londra, delle patronesse che gravitano intorno al circolo di Bloomsbury. Parigi scopre la musica selvaggia delle danze polovesiane, il clima morbido e decadente dell’harem dove vive Zobeide circondata da odalische e schiavi pronti all’orgia. Ma non fu soltanto esotismo. Alla fine della Grande guerra, il vento delle avanguardie coinvolge anche Djagilev che chiama a collaborare Respighi, Poulenc, Rieti, Picasso, Balla, Marie Laudencin e Coco Chanel per i costumi.

Ora, per il centenario, partono le celebrazioni. Si è appena chiusa da Sotheby’s a Parigi una mostra intitolata «Danser vers la gloire, l’age d’or des Ballets Russes» con rari bozzetti e costumi. Per il prossimo gennaio sono in pista Roma e Firenze. All’Opera, Carla Fracci e Beppe Menegatti preparano Diagilev musagete Venezia, agosto 1929, ricostruzione danzata degli ultimi giorni di Diagilev con la partecipazione di Vladimir Vasiliev. A Firenze, Maggiodanza annuncia per il 15 gennaio una serata Fokin. Il Balletto di Toscana junior porta in tour il bello spettacolo Sulle tracce di Djagilev. Ma, soprattutto, all’Opera di Roma, ad aprile, Fracci & Menegatti firmano un festival che snocciolerà diciassette titoli, comprese rarità per l’Italia come Les biches e Le train bleu.

Continua su: La Stampa

giovedì 25 settembre 2008

Studio fonologia musicale Milano


Un'immagine d'epoca dello studio di fonologia

Giugno 1955: i musicisti Luciano Berio e Bruno Maderna, con la collaborazione del fisico Alfredo Lietti e del tecnico Marino Zuccheri, creano lo Studio di Fonologia Musicale di Milano della Rai. In Europa, in quegli anni, ne esistono solo altri due: uno a Parigi, l’altro a Colonia. E’ il “cuore” sonoro della sede Rai di corso Sempione: serve – fino alla sua chiusura, nel 1983 - a produrre sperimentalmente musica elettronica e a realizzare effetti audio per la radio e la televisione. Ma è soprattutto un grande laboratorio creativo e i dirigenti Rai di allora si convincono ad aprirlo – arricchendolo in seguito di nuove tecnologie – dopo aver ascoltato “Ritratto di città”, composto da Berio e Maderna su un testo di Roberto Leydi. Lo Studio di Fonologia diventa così un luogo di grande richiamo per molti musicisti e sperimentatori dell’epoca: qui Berio compone “Mutazioni”, Maderna crea “Continuo” e “Notturno”, e lo frequentano Jonn Cage, Luigi Nono ed altri compositori. E in quegli studi passano registi e scrittori come Sermonti, Quasimodo, Eco, mentre il Piccolo Teatro – appena fondato da Strehler e Grassi – utilizza lo Studio per l’elaborazione di musiche di scena, firmate da Fiorenzo Carpi.
Una storia che – dal 17 settembre 2008, grazie al contributo di MITO SettembreMusica e all’allestimento dello studio De Lucchi – si potrà vedere e... riascoltare nella nuova sala del Museo degli Strumenti Musicali al Castello Sforzesco di Milano, dove lo Studio di Fonologia della Rai sarà ricostruito e aperto al pubblico per un viaggio nel mondo del suono e della musica, tra apparecchiature che hanno creato per la prima volta emozioni e stati d’animo tradotti in suono, voci rielaborate, note di una musica.

mercoledì 24 settembre 2008

Notizia del giorno

La Fenice, protesta della maestranze.

Sciopero improvviso delle maestranze targate Cgil. L'ultima replica del "Boris Godunov" al Teatro La Fenice va in scena in maniera assolutamente inconsueta: sul palco, accanto agli artisti dell'opera, in costume, c'erano i dipendenti del teatro, in borghese. I primi cantavano, i secondi stavano seduti sulle scenografie, muti e immobili. Risultato: sconcerto degli spettatori, qualche fischio, poi buona parte del pubblico ha abbandonato la platea.


Fonte: Repubblica

martedì 23 settembre 2008

Inizio dei corsi (triennale) Lettere


Lunedì
14:00 - 16:00Aula 6 PN Palazzo Nuovo - Piano primo
Martedì14:00 - 16:00Aula 6 PN Palazzo Nuovo - Piano primo
Mercoledì14:00 - 16:00Aula 6 PN Palazzo Nuovo - Piano primo
Lezioni: dal 22/09/2008 al 22/10/2008

Prof. Alberto Rizzuti
Storia della musica B, mod. 1

Suoni, forme e lessico della musica di tradizione colta

Il modulo ha una funzione propedeutica allo studio della musica di tradizione colta da una prospettiva storica. Le lezioni avranno per oggetto una scelta di opere musicali la cui fisionomia consenta l'esemplificazione di un metodo d'indagine utile al fine di una loro comprensione critica.

Non è presupposta alcuna conoscenza tecnica del linguaggio musicale, ma - non essendo previste dispense, né programmi alternativi - è indispensabile la frequenza.

Il corso è compreso nel coordinamento comparatistico, che
quest'anno ha per argomenti comuni "Riscritture" e
"Costruzione dei miti di identità".

1) Appunti del corso (comprensivi di materiali musicali forniti o indicati dal docente).
2) Giorgio Pestelli, L'età di Mozart e di Beethoven (Torino, EdT, 1991/2)
3) Scelta di alcuni articoli di critica musicale tratti da Fedele D'Amico, Tutte le cronache musicali ("L'espresso", 1967-1989), 3 voll., Roma, Bulzoni, 2000.

mercoledì 17 settembre 2008

Quattro secoli di chitarre ad Alessandria

Nel corso della storia della musica è accaduto a volte che uno strumento uscisse dalle corti, presso le quali era intrattenimento prediletto dalla nobiltà, e si guadagnasse di prepotenza un ruolo per le strade, al servizio di chi con la musica doveva in qualche modo sbarcare il lunario. Nessuno strumento, tuttavia, riesce a competere con la meravigliosa «deriva popolare» che dal Seicento ad oggi ha conosciuto la chitarra, forte di quella incomparabile duttilità che l'ha portata di volta in volta ad evolversi fino a diventare qualcosa di altro, a vantaggio di un genere diverso in giro per le più disparate culture del mondo.

A chi suona o più semplicemente ama questo strumento è dedicata la mostra «La chitarra – Quattro secoli di capolavori» che il Palazzo del Monferrato di Alessandria ospita fino al 19 ottobre. E' la prima volta che in Italia si organizza un'esposizione interamente dedicata al percorso compiuto dalla chitarra negli ultimi quattrocento anni, puntando sul contributo di prestigiosi musei internazionali e appassionati collezionisti privati. E' stato così possibile portare nella città piemontese 70 manufatti, tra cui figurano alcune delle chitarre più rare e preziose attualmente conservate, come quelle appartenute a Nicolò Paganini, a Mauro Giuliani e alla Regina Margherita di Savoia. Si parte ovviamente con l'epoca barocca, quella in cui lo strumento fa il suo debutto in società, attraverso una serie di esemplari ottimamente conservati che rispecchiano alla perfezione i gusti del tempo, grazie ai preziosissimi intarsi in materiali pregiati.

Tra questi spicca per importanza la chitarra realizzata da Antonio Stradivari (1644-1737), il più celebre liutaio di tutti i tempi che legò la sua fortuna soprattutto ai violini. Lo sguardo del visitatore si concentrerà poi sull'universo musicale del secondo Settecento, prima analizzando l'area italiana dove la chitarra subì una fondamentale trasformazione, con l'aggiunta della sesta corda (tratto che tuttora la caratterizza). Si prosegue con la Francia e la tradizione liutaia parigina, cui saranno affiancati esempi significativi anche esterni alla capitale francese, mentre alla Spagna spetta il ruolo di primo laboratorio presso il quale si sperimenterà l'utilizzo della chitarra nella musica popolare, grazie alla nascita del flamenco. Le successive sezioni dell'esposizione puntano l'obiettivo sul periodo relativo alla prima metà dell'Ottocento. Accanto all'Italia, alla Francia e alla Spagna, nazioni rimaste punto di riferimento assoluto nella storia di questo strumento, si inseriscono anche Paesi come Austria e Inghilterra.

Francesco Prisco

liberamente tratto da il Sole24ore, continua qui

lunedì 15 settembre 2008

Quattro seminari

Sala Lauree della Facoltà di Scienze della Formazione

Mercoledì 24 settembre, ore 10
Maurizio Ferraris (Torino)
Quartetti, sinfonie e altre scartoffie

* * *

Archivio storico della città di Torino, Via Barbaroux 32

Giovedì 25 settembre, ore 10
Annarita Colturato (Torino)
Fonti d'archivio per lo studio della modalità
di produzione e consumo dell'opera italiana nel Settecento

* * *

Sala Lauree della Facoltà di Scienze della Formazione

Venerdì 26 settembre, ore 10
Ernesto Napolitano (Torino)
Convergenze fra pensiero musicale e pensiero scientifico
nella seconda metà del Novecento


Venerdì 26 settembre, ore 15
Lorenzo Bianconi (Bologna)
Guardare l'opera dall'alto in basso

Si segnala anche il Convegno bolognese Musicologia e Filosofia, al link qui di seguito:

http://www.saggiatoremusicale.it/attivita/2008/musicologia_e_filosofia.php

domenica 14 settembre 2008

Eredità della musica

Piero Violante, Eredità della musica. David J. Bach e i concerti sinfonici dei lavoratori viennesi (1905-1934), pp. 227, € 16, Sellerio, Palermo 2007

L’arco temporale preso in considerazione dall’autore va dalla fine dell’Ottocento al 1934; questo periodo rappresenta una cesura fondamentale per tutta la cultura del Novecento, perciò il saggio si presenta denso e intriso di riferimenti non solo alla storia della musica, ma anche all’arte, alla storia sociale e culturale.
I concerti sinfonici dei lavoratori viennesi fra il 1905 il 1934 sono l’argomento del libro, incentrato sulla complessa figura di David J. Bach (1874-1947), promotore delle stagioni concertistiche per gli operai e successore di Josef Scheu come titolare della critica musicale dell’«Arbeiter Zeitung», quotidiano del partito socialdemocratico austriaco.
Nello scorrere l’indice del libro si possono individuare due aree tematiche legate fra loro, che ne formano l’ossatura: nella prima, di carattere storico-filosofico, l’autore presenta il milieu sociale e culturale in cui germinerà l’esperienza dei concerti per i lavoratori; nella seconda si trova invece l’analisi delle stagioni sinfoniche, suddivise in tre decadi: dal 1905 al 1918, dal 1918 al 1926 e dal 1926 al 1934. Vi sono anche due interpolazioni che spezzano il ritmo delle stagioni, e nel medesimo momento ne sono, però, una prosecuzione parallela, perché riferiscono di due esperienze contigue ai concerti per lavoratori: la prima è rappresentata dalla fondazione della rivista «Der Strom» e la seconda è L’utopia mancata del coro recitante (Sprechchor).
I concerti per i lavoratori sono «il grandioso tentativo, da parte della socialdemocrazia e dei teorici dell’austro-marxismo, di fare del proletariato l’erede della tradizione musicale viennese e, attraverso questo, erede della cultura classica tedesca»; tale tentativo riesce solo in parte, perché l’avanzamento dell’austro-fascismo spianò la strada all’Anschluss.
Un tale argomento è in sé interessante, ma può risultare altrettanto insidioso per la quantità di soggetti ad esso correlati; Piero Violante gestisce molto bene il materiale magmatico che ha scelto di trattare e riesce a plasmarlo secondo una forma fruibile, grazie anche al sostegno di un nucleo corposo di note, che talvolta diventano un libro nel libro.
Quando si giunge alla fine della lettura si è pervasi da una sensazione di completezza dovuta alla prosa scorrevole da una parte strettamente connessa a una chiara formulazione dell’argomento. I concerti sinfonici per gli operai viennesi diventano così, grazie anche al coinvolgimento di più campi del sapere, il punto di partenza per una più ampia riflessione sul mutamento della società avvenuto in quegli anni.
Marida Rizzuti
Liberamente tratto da L’Indice dei Libri del mese, Luglio/Agosto 2008, p. 34

venerdì 12 settembre 2008

12 settembre

In tutte le agende ci sono date più affollate di altre, perché gli eventi non badano ai giorni ma s’insinuano a loro capriccio nelle anse del fiume, sia esso quello grande della Storia mondiale, quello medio degli avvenimenti interni di una nazione, o quello piccolo della cronaca locale. L’11 settembre è ormai su scala planetaria sinonimo di Twin Towers e Ground Zero, laddove fino a sette anni fa era lo era di Salvador Allende e di Inti-Illimani; fino a oggi, il 12 settembre era una data abbastanza qualunque, ma da quest’anno potrebbe essere quella di morte dell’Alitalia, e conseguentemente quella di nascita dell’incubo-disoccupazione per alcune migliaia di lavoratori e per le loro famiglie. Passando dal palcoscenico nazionale a quello metropolitano, c’è inoltre modo di notare come in questo 12 settembre si diano appuntamento, a Torino, due eventi solo apparentemente privi di connessioni reciproche.

Quando nella sala del cinema intitolato ai Fratelli Marx si farà buio, e sullo schermo compariranno i primi fotogrammi della Fabbrica dei tedeschi, il film dedicato da Mimmo Calopresti alla tragedia della Thyssen-Krupp, da qualche ora la Villa Tesoriera avrà smesso di essere quello che per i torinesi della mia età è stata da sempre: la biblioteca musicale pubblica che tutta Italia ci invidia. Per fortuna, la chiusura della sede non comporta quella dell’istituzione: tra qualche mese i libri saranno di nuovo disponibili, più vicini al centro cittadino, secondo modalità di consultazione, distribuzione e prestito più snelle e al passo coi tempi. Mancherà, questo sì, quell’atmosfera rarefatta, aristocratica al punto da imporre fino all’ultimo il costume antico dell’utilizzo del catalogo cartaceo; e con lei svaporeranno quei tempi, rilassati ma mai estenuanti, di attesa al bancone; favorevoli al nascere - in parallelo a qualche carriera - di infatuazioni effimere, di passioni durature, di amicizie solide, di amori grandi e piccoli.
Cosa accomuna la Thyssen e la Tesoriera, a parte la “T” iniziale? È da un pezzo che me lo chiedo, ossia da quando il trasferimento della biblioteca è stato annunciato qualche mese fa, e dato che nessuno me l’ha saputo spiegare adesso provo a spiegarlo io.

La sera del 5 dicembre 2007, mentre alcuni operai si davano il cambio in acciaieria, io entravo in "sala presse". Loro andavano a lavorare, io ad ascoltare musica. Mentre alla Thyssen partiva la colata delle nove, al Lingotto entrava in scena Pollini, quello che ai tempi in cui “11 settembre” voleva dire Allende e Inti-Illimani andava a suonare Stockhausen nelle Thyssen di allora, inseguendo il sogno un tantino velleitario di mettere la classe operaia in sintonia con la musica che ambiva a denunciare l’alienazione dell’individuo moderno. L’onestà intellettuale che animava quelle scelte era se possibile superiore al valore artistico degli eventi che produceva ma, valutata a tre decenni di distanza, la ricaduta di quelle iniziative sull’educazione musicale della classe lavoratrice si dimostra inapprezzabile; e non a causa della presunta scomparsa del proletariato.

Quello del 5 dicembre 2007 era un concerto speciale, e non solo per la fama dell’interprete e per l’originalità del programma. Si trattava di un concerto che l’Unione Musicale e Mi-To Settembre Musica avevano voluto dedicare – a un anno dalla scomparsa - alla memoria di Giorgio Balmas, fondatore dell’associazione nel 1946 e inventore del festival nel 1978. Pollini aveva scelto Chopin e Debussy, due giganti della letteratura pianistica, offrendo un’interpretazione superlativa di qualche pagina famosa, ma senza vietarsi l’arrocco consueto; nell’occasione, fra le asperità di alcuni sceltissimi Etudes. Nella liturgia del concerto una nota stonata c’era, e non proveniva dall’artista, ma dal pubblico. Nelle file migliori, paracadutatovi da chissà quale bizzarria della sorte, in un parterre affollato da intenditori di musica, persone importanti con l’abito buono, signore eleganti avvolte dalle fragranze più ricercate c’era un clochard. Un uomo di circa quarant’anni, grassoccio, vestito con un camicione di pile a quadrettoni e un paio di pantaloni di velluto marrone, una barba alla Musorgskij ritratto da Repin e due lenti spesse, oltre le quali s’intravedeva uno sguardo spento. Se la platea fosse stata una scacchiera e io un cavallo, avrei potuto mangiarmelo con una mossa sola. Lo avrei fatto subito, immolandomi per un’unica ma decisiva ragione: perché credo che l’acqua avesse smesso di accarezzare il suo corpo al tempo in cui le Twin Towers si ergevano con tutta la loro fierezza. Emanava, a ondate tanto improvvise quanto irreprimibili, un tanfo di sudore insopportabile. Mai ho desiderato come quella sera che il concerto finisse in fretta, perché il Lingotto era gremito al limite della capienza e trovare posto altrove era impossibile, né dal mio auspicio riusciva a distogliermi un Pollini in letterale stato di grazia. Me lo sono portato fino a casa, quel puzzo di sudore, e solo uno spaghetto aglio e olio in grado di stendere un reggimento è riuscito, ben oltre la mezzanotte, a far riemergere dalla mia mente il ricordo delle pagine di Chopin e Debussy, dal primo Preludio all’ultimo Etude.

Il mattino dopo, ascoltando la radio ho appreso del rogo della Thyssen. Quando la sera, al telegiornale, ho visto le interviste ai sopravvissuti, la prima cosa che mi ha colpito è stata la proprietà di linguaggio con cui essi si esprimevano. Lì mi si è chiuso il cerchio; lì ho capito il significato delle zaffate di sudore che fendevano a tradimento l’aria dell’ex fabbrica divenuta auditorium: il livello d’istruzione medio di quelli che erano con me ad ascoltare Chopin nella penombra della "sala presse" non era diversissimo da quello di chi, fra i bagliori dell’acciaieria, si era frattanto preso addosso una sventagliata di olio bollente. Detto più banalmente, quella sera al Lingotto ad ascoltare Pollini avrebbe potuto esserci uno di quelli che erano alla Thyssen, e a lavorare alla Thyssen avrei potuto esserci io, o uno di quelli che in queste ore rischiano il posto nella nostra compagnia di bandiera. Se quella sera io mi trovavo al Lingotto e la hostess Alitalia dispensava sorrisi ai passeggeri della business class, mentre un gruppo di nostri coetanei con un diploma superiore in tasca si arrostiva nella fabbrica dei tedeschi, il merito va anche alle istituzioni che hanno consentito, a me e a lei, d’inventarci un mestiere un po’ diverso. Limitando l’esemplificazione al mio caso, una buona università pubblica e un’efficiente biblioteca civica: istituzioni che, assistiti da un po’ di fortuna, avrebbero potuto frequentare con profitto anche alcuni fra quelli che lavorano oggi nelle varie Thyssen d’Italia. Il proletariato non è scomparso, ha solo cambiato volto: rispetto a una volta sa produrre meno prole, ma molte e migliori parole, e grazie ed esse, concepire progetti e coltivare ambizioni; e per questo motivo non costituisce più una classe omogenea ma un soggetto tentacolare e sfuggente.

Se Pollini tornasse a suonare nelle fabbriche, magari portandoci Chopin o Debussy, ad ascoltarlo troverebbe un pubblico meno sprovveduto di quello a cui proponeva a suo tempo le lacerazioni delle avanguardie; ma non lo farà mai, e con tutte le ragioni di questo mondo. Così come La fabbrica dei tedeschi finirà nelle scuole, stimolando nei ragazzi la riflessione, e magari la passione civile e politica, senza pretendere di fare di nessuno né il nuovo Calopresti né il nuovo Di Vittorio, nelle scuole devono finire Chopin e Debussy; stimolando nei ragazzi la riflessione, e magari la passione per l’arte, senza pretendere di fare di nessuno il nuovo Pollini o il nuovo Mila.

Sedicente capitale della musica, Torino s’è dotata nella scorsa primavera di una Fondazione preposta alle attività ad essa collegate. Coordinare l’offerta di concerti e di eventi culturali che coinvolgono la musica è solo uno degli obiettivi che essa deve perseguire; l’altro, a mio avviso indispensabile, è suscitare la passione, soprattutto in coloro che non possono contare su un’istruzione musicale di base. Lasciando alle varie istituzioni scolastiche il compito d’istruire i rispettivi studenti, per meritare appieno il titolo che le viene attribuito nel panorama culturale italiano Torino deve esperire strategie volte a suscitare la passione per la musica; per la musica in quanto fine, e per la musica in quanto mezzo, ossia in quanto chiave in grado di aprire a tutti porte oltre le quali si schiudono scenari nuovi e non di rado seducenti.

Alberto Rizzuti

giovedì 11 settembre 2008

Tesoriera: nuovi orari, Università di Tallin, call for paper

La biblioteca civica musicale Andrea Della Corte è pronta per il trasferimento alla nuova sede di Corso Vercelli 15 (in data da definirsi)

Entro il 12 settembre va restituito tutto il materiale alla biblioteca

1-12 settembre (solo per restituzioni): h. 9-16


Presso l'Università di Tallin si terrà
la seconda conferenza internazionale:

The Changing Face of Music Education (CFME09)
Music and Environment
April 23 – 25, 2009

lunedì 8 settembre 2008

La buona musica, concorso della Compagnia di San Paolo

La Fondazione per la Scuola della Compagnia di S. Paolo promuove la prima edizione del Concorso La Buona Musica, iniziativa che intende individuare progetti significativi nel campo della cultura e della pratica musicali nelle scuole.

Destinatari:
Istituti di istruzione primaria, secondaria di primo e secondo grado e ai Laboratori Musicali Scolastici - Legge 18 dicembre 1997 N. 440 – delle Regioni Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Finalità:
Il concorso si propone di individuare esperienze significative nel campo della cultura e della pratica musicali in ambito scolastico, premiando con dotazioni tecniche e successive esperienze didattiche e formative le istituzioni scolastiche che abbiano realizzato iniziative in tale direzione.

Premi:
La Fondazione premierà:
le 10 migliori esperienze di “Musica d’insieme”, presentate dagli Istituti di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado e dai Laboratori Musicali Scolastici, con 10 premi da 5000 euro per l’acquisto di una dotazione di strumenti musicali.
le 10 migliori esperienze di Inserimento della cultura e/o della pratica musicale nell’ambito del percorso curricolare ordinario, presentate dagli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado, con 10 premi da 4000 euro per l’acquisto di supporti musicali multimediali e la partecipazione a concerti.

Scadenze:
La scheda di partecipazione e i materiali richiesti dovranno pervenire entro il 30 settembre 2008.
L’esito del concorso verrà comunicato tramite il sito web entro il 30 ottobre 2008.

Qui bando integrale e scheda di partecipazione

domenica 7 settembre 2008

Nuove recensioni: concerti Mi-To

Continua il nostro speciale rassegna stampa sui concerti della manifestazione, oggi le recensioni di Mantra (Stockhausen) del duo Ballista-Canino e di Volodos - Jukka-Pekka Saraste (Rachmaninov-Sibelius-Musorgskij).

B.S.

venerdì 5 settembre 2008

lunedì 1 settembre 2008

 
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